PSYCHOKILLER  "Higher "
   (2017 )

Gli Psychokiller danno alle stampe il seguito del loro rabbioso disco d’esordio “Dead City Life” e rendono il loro sound estremamente più vario e melodico. “Higher” si configura come una esplosione molto ragionata e passionale di chitarre solari e arrangiamenti ben curati, ma al tempo stesso mantiene una distorsione ed una carica primitive ed esaltanti.

L’album parte forte con “Tidal Wave”, orecchiabile e aggressiva, che sembra rappresentare il giusto risveglio in una giornata che prevede un viaggio tra tanti differenti sonorità e stili del rock: quel viaggio è il disco che abbiamo di fronte. La spinta emotiva e motivazionale del brano di apertura si placa con la successiva “Live Your Life Lonely”, dove i ‘90s si aprono a contaminazioni palesemente anni Duemila, e gli Smashing Pumkins incontrano i (purtroppo spesso dimenticati) Clap Your Hands Say Yeah, il cui omonimo album del 2005 sembra una chiara ispirazione per gli Psychokiller. “Higher” è una ballata rock classica, che può ricordare i Walkmen di inizio carriera, e lascia con un dolce sapore in bocca. I bellissimi ricami chitarristici si amalgamano splendidamente con una batteria molto ovattata, mentre i cori del ritornello si innalzano sopra la voce potente e grunge di Enrico Spina. “Take Care of Your Sun” è una cavalcata dalla melodia semplice ma diretta e struggente; qui gli arpeggi di chitarra nei versi contrastano con momenti più potenti nel ritornello. Si prende il volo con “I Dream It All Tonight”, che parte con una romantica chitarra acustica e presenta una voce poco trattata, quasi priva di effetti, piena di sentimento e dolcezza. E rappresenta, forse, uno dei momenti chiave del disco.

Momenti chiave, proprio così. Ce ne sono diversi all’interno di “Higher”, e dimostrano quanto questi ragazzi siano duttili e colti in campo di conoscenze musicali. Dove i REM risultano troppo citati, ecco che i quattro inseriscono richiami ai Sonic Youth; dove c’è la ballata compare lo spettro dei grandissimi Wolf Parade; dove c’è la tempesta di orgoglio e rabbia compaiono persino gli Spoon.

“Black Hands” tiene insieme queste due linee e mescola quella nuda semplicità rock alla voglia di pop. “Free to Choose” è, a suo modo, un’altra esplorazione nel grande universo del rock, che strizza l’occhio soprattutto a qualche gruppo recente, ma tiene insieme la tradizione nel trattamento di basso e batteria. “In the Mood” è un messaggio, una richiesta di comprensione rivolta a un amico, nella speranza che quello ti ascolti. La voce, disincantata e sincera, tenta di gettare fuori tutta la sua carica emozionale, per liberare un “trust me once again” diretto e spietato. “Under Pressure” è l’amore che porta al punto di uccidere, e tutta la voce e la batteria si impegnano sin da subito nel mostrare uno strato di pressione psicologica e follia psichica che il basso e la chitarra descrivono meravigliosamente nella strofa centrale. Il finale è affidato a “Could You Wake Up”, nella speranza che un giorno riusciremo a capire che il mondo si svolge intorno a noi e non all’interno dei nostri smartphone; perché i bambini tornino a divertirsi con il pallone come un tempo, e non più solamente con il cellulare. “There are no excuses”: con questa ennesima lirica disincantata ma mai pessimista si conclude un disco molto interessante, totalmente riuscito, che esplora il rock come poche altre band italiane sanno fare in questi anni. (Samuele Conficoni)