RUBBER EGGS  "Rubber Eggs EP "
   (2017 )

I Rubber Eggs – nati dalle ceneri degli Ipotonix nel 2012 – danno alle stampe il loro primo lavoro in studio – un EP di 4 pezzi –; costantemente impegnati a re-immaginare e ricreare le atmosfere sognanti e lisergiche del rock americano e britannico dei ‘60s, i tre lo ripropongono però con tutte quelle aggiunte ed evoluzioni che il genere nel suo insieme ha raccolto nel corso dei cinque decenni successivi. Così, oltre a Kinks e Small Faces, si percepiscono influenze wave e post-punk, in una linea stranissima che si avvicina persino ai Flaming Lips.

Solamente quattro brani: poco meno di una quindicina di minuti possono sembrare pochi, certo, ma rappresentano la carta da visita tutt’altro che generica o approssimativa di un gruppo che ha talento e voglia da vendere. L’EP è caratterizzato dall’assenza di chitarre e dal predominio di synth, farfisa, basso e batteria, tutti compresenti e tutti fondamentali. Ciò che i Rubber Eggs sanno fare meglio è ridare nuovo smalto e nuovo significato al rock inglese di metà anni ‘60, così in bilico com’era tra ribellione totale e ricerca di stabilità e di nuove regole in un panorama musicale che appariva estremamente vario e innovativo. Così la scarica epilettica dell’organo si fonde con un basso tagliente e sottile; in mezzo a un apparente caos nasce un naturale bisogno di melodia, distintiva e canticchiabile: “Cheeze for My Rat” è l’esemplificazione perfetta di questo sound. I Fuzztones vengono rivisti attraverso i Cramps; ma qui ci sono – come detto sopra, le influenze della band attraversano i decenni e non hanno limiti – anche i giganteschi Flaming Lips. Ancora più anglofona, intrisa di psichedelico e di pura energia “british invasion”, lisergica ed errabonda, è “Summer 8”, un’esplosione di colori e caos là dove prima c’erano maggiore stabilità e matematica. E questi due poli – ordine e disordine – sono fortemente esplorati, e rappresentano il punto forte del gruppo. La voce ovattata e alienante rende il brano ancora più convincente.

La seconda parte dell’EP si apre con una visita al grunge dei ‘90s, ripercorso però attraverso quelle che furono le sue fonti di ispirazioni: come i Nirvana iniziarono suonando “Heartbreaker”, così i Rubber Eggs danno una loro versione del grunge da fan dei Led Zeppelin, dando spazio a una graffiante performance vocale e a un synth devastante, mai così aggressivo nel disco. Il divertimento non manca affatto; ma ci sono anche padronanza tecnica e idee chiare nell’esecuzione: un esperimento che poteva sembrare coraggioso e rischioso diventa un centro pieno. La conclusione spetta a un altro esperimento, altrettanto coraggioso e altrettanto riuscito: “Revenge of Mother Earth” è uno spoken-crooner dove riaffiorano la wave dei Cure e la fragilità unica dei Monochrome Set, ma anche gli Zombies e di nuovo, con loro, gli anni Sessanta. Il quadro totale che ne risulta è uno splendido affresco delle (grandissime) potenzialità di una band piena di spunti originali e di talento: forse uno degli esordi più interessanti in Italia quest’anno. (Samuele Conficoni)