GIUSEPPE CALINI  "Verso l’Alabama"
   (2017 )

In uno scenario musicale, dominato da fanatismo e presunzione, mi rivolgo a quei soggetti che, dopo aver pubblicato uno o due dischi, ostentano fenomenologia di sentirsi già i numeri uno ed invece si rivelano vacue bolle di sapone. E allora, Giuseppe Calini che dovrebbe dire dopo 17 album? Se ancora non bastano 17 dischi ad imporlo alla ribalta, questo è un chiaro segnale di scarso fiuto dell’industria discografica. Il coriaceo rocker legnanese ha, fortunatamente, la grande dote dell’umiltà e dell’anticonformismo, scevro da usi, consuetudini e ruffianerie modaiole. Sarà proprio tutto questo che dà fastidio ai mammasantissima delle major: non riuscire a piegarlo ai sicuri clichè del pop e non adattarlo ai cambiamenti che vorrebbero importi. E’ da una vita che Calini blinda il suo rock con le unghie e con i denti e lo ribadisce ancora una volta con “Verso l’Alabama”, lavoro sanguigno e orgogliosamente demodè che regala oltre un’ora di musica graffiante e poco soporifera, poiché la cinquina di ballads che annovera il disco Giuseppe te le spara con i colpi a salve, in quanto il rock deve colpire ma non far morire: “Take it easy”, “Una lunga strada da casa” e “Tu sei qui” rappresentano la carezza ruvida ed efficace di come si tratta la narrazione grintosa. L’album già spinge al primo giro con “Il rock degli anni’70”, in cui Giuseppe traccia un chiaro identikit di vibranti chitarre e riffs ruggenti. In “Il sogno non c’è” Calini s’inventa un brioso giro di tastiera saltellante per destare perfino istinti dancerecci. L’opera è una Colt con 16 colpi nel tamburo, ma non credete al Nostro se (in traccia 9) dichiara “Ho finito le cartucce”: è semplicemente un’ironico grido d’allarme rock-blues che non sa mai di rassegnazione. “Sangue nervoso” inietta un verace tessuto ematico, ispirato nell’interpretazione al Blasco nazionale. E se quest’ultimo è il celeberrimo Kom, Calini è investito, di diritto, nel ruolo di Kap (itano) di ventura, con il piglio e la determinazione grezza ed abrasiva di “Io sono il tuo capitano”. Il caricatore si svuota con l’ultimo sparo di “Rock’n’roll”: titolo che può sembrare scontato ma (invece) altamente emblematico di come si possa ostentare, con fierezza e orgoglio, la difesa a spada tratta di tutti i suoi “credo” incrollabili a 50 anni “suonati” bene… molto bene… (Max Casali)