METROPOL PARASOL  "Farabola"
   (2017 )

Tullio Farabola è stato un fotografo italiano, e "Farabola", disco d'esordio dei Metropol Parasol, è un album che riporta immagini sfuocate dal passato, facendole contrastare col presente. L'Lp contiene sette canzoni, ma concentriamoci su cinque di esse, "I.n.n.o.", "Quel pezzo", "Onde", "Inverno", "Emilio". In questi brani è espresso bene il sound aggressivo del trio batteria, basso e voce. Il basso evidentemente fa uso pesante di distorsioni poiché pare di sentire una chitarra punk. "I.n.n.o.", che ha un andamento ritmico particolarmente cadenzato e potente, racconta due aneddoti, uno d'infanzia, in cui il protagonista osserva suo padre radersi e si sconvolge: "Non riuscivo a capire come potesse passare sulla sua pelle una lama così affilata". La frase si ripete alternata ad altre descrizioni, cambiando solo "pelle" con "guancia" e "gola". Per come è stesa la narrazione, si dimostra una capacità di scrittura da autore di romanzi, nel descrivere il punto di vista del soggetto facendone percepire l'età senza mai dirlo. Successivamente si passa ad un ricordo più pruriginoso: il narratore si ricorda di stare con una ragazza nel giorno in cui le era scomparsa la madre, e lui continua a fissarla colmo di desiderio. Il fratello se ne accorge e lo porta fuori per pestarlo di botte "finché dopo non piangeva più". Non è così insolito l'accostamento istintivo fra eros e morte (elemento affrontato anche nel film "The number 23"), ma chiaramente è una cosa politicamente scorretta; tuttavia questa sorta di cinismo distaccato nel raccontare gli aneddoti ha un chiaro gusto anni Novanta (basti pensare alla frequentazione dei circoli di malati in "Fight Club"). "Quel pezzo" esprime parecchio disagio: "Non riesco più a tenermi su, sai che me ne frega", "non ce la faccio in mezzo a questa gente puntata al cesso per tirarti su". Il gabinetto, altro elemento costante di fine XX secolo (come nel videoclip "Strange world" di Ke e il film "Trainspotting") e gente che vomita, sta male, non gliene frega niente... Poi il ritornello canta: "E' una giostra che gira d'inerzia". L'inazione diventa cardine dei racconti. Sia in "I.n.n.o." che in "Onde" si parla della voglia di scappare; nella prima la voglia non c'è più, nella seconda si prende in giro una persona che vorrebbe farlo perché "questa città non ha più niente da dire", ma come recita il ritornello: "Col maglione a Bangkok che c***o ci fai?". Il presente va quindi affrontato per quel che è. Il brano che si focalizza sull'oggi si chiama "Inverno", e parla di freddo, di cercare un "posto sul marciapiedi dove potermi rannicchiare. Va bene, forse ho esagerato...". La tensione al tragico è palpabile, ma il sound abrasivo non concede spazio ad una visione piagnucolosa. "Emilio" infine, pezzo di chiusura, è un punk rock battuto che parla di violenza subita e di resilienza: "Quando mi sbattono a terra per sfogare la frustrazione, anche se fa male, rido". Tutto ciò è decisamente emocore, e sincero, onesto, vero. Poi ci sono due canzoni... una cover di Karoshi, "Garrincha", che se nell'originale presenta una chitarra acustica, qui fa invece utilizzo di drum machine ed elettronica. In questa atmosfera più rilassata, si può apprezzare la profondità della voce nelle note di registro medio. Però questa scelta antifrastica, rispetto a un album concepito tutto distorto, risulta poco convincente. "Millenovecentonovantasei" suscita maggiore perplessità. Sparisce tutta la personalità del trio, e compaiono i suoni vintage tanto di moda oggi nel finto indie, funzionali al testo nostalgico: "Quell'estate del '96, volume al Massimo di Cataldo". E' chiaramente la canzone orecchiabile, estiva e paracula (come "Riccione" di Tommy Paradise). La speranza è che i Metropol Parasol siano tanto coraggiosi da non sceglierla come secondo pezzo da spingere e da cui trarre un videoclip, per due motivi: il primo è che avvicinerebbe la band al livello di tutti gli altri progetti di cartapesta che girano oggi, quando invece, i Metropol Parasol, sono molto più interessanti; e il secondo, soprattutto, è che potrebbero attirare un pubblico "pop" che poi, ascoltando il resto, si sentirebbe preso in giro e li abbandonerebbe subito. Non sarebbe male invece portare in auge una scena più rumorosa, che il power trio ha dimostrato di saper creare. (Gilberto Ongaro)