MATT BIANCO  "Gravity"
   (2017 )

Ora è facile, la vita, per Mark Reilly. Perché può darsi alla sua passione storica, il jazz, senza bisogno di doverlo nascondere in nessun altro modo. Come faceva quando accanto a lui c’erano Basia e “quell’altro”, ovvero il tastierista e co-leader Mark Fisher, recentemente e tragicamente passato a miglior vita (questo album è, infatti, la prima uscita dopo la morte di Fisher). Ultimamente, poi, solo con “quell’altro”, dal momento in cui la Basia dall’impronunciabile cognome aveva deciso di andare per conto proprio. Quando erano gli anni '80 e si doveva per forza contagiare il tutto con sintetizzatori e robe simili. Ottimi per le classifiche, ma non certo, forse, per i puristi. Così Matt Bianco, sigla dietro cui c’è poi solo il nostro Mark e collaboratori contingenti, ha avuto successo e fama per un po’ di anni, per poi perdersi per strada. Eppure la sigla esiste ancora, e “Gravity” è il sunto di quello che, forse, davvero, Reilly ha avuto in testa fin dall’inizio. Spazzole su tamburi, tanti fiati, e anche la voce invecchiata che rende il tutto una specie di viaggio nel tempo, magari ritrovandosi negli anni ’30 in un qualche pub fumoso. Certo, tutto assolutamente autoreferenziale e forse anche banale, per cui come si suol dire la situazione è questa: vi piacevano i Matt Bianco degli anni ’80? Ecco, forse dateci una occhiata così per capire cosa c’era davvero sotto. Siete amanti di un certo jazz alla (semi)acqua di rose? Ecco, ci cascherete dentro alla grande. D’altronde, questo era quello che sarebbe dovuto essere, e che di fatto è da tanti anni, dato che, insomma, la discografia del Nostro è andata avanti anche senza i riflettori sopra di lui. (Enrico Faggiano)