RENANERA  "'O rangio"
   (2017 )

La musica world con contaminazioni elettroniche si arricchisce con il contributo dato dai lucani Renanera che pubblicano il loro terzo lavoro in studio,“’O Rangio”, sotto la produzione di Antonio Deodati. Unaderosa alla voce, Antonio Deodati alle tastiere e agli arrangiamenti, Alberto Oriolo al violino, tammorra e cori, Giuseppe Viggiano alla chitarra acustica, Pierpaolo Grezzi alle percussioni ed Eugenia Ucchino alla danza, mettono anima e cuore in un lavoro moderno attraverso l’elettronica ma che affonda le proprie radici nei sapori passati della musica etnica. Un condensato di energia e sonorità travolgenti sono l’elemento chiave della opening e title track, in cui la taranta si fonde all’elettronica in un ritmo serrato nella lotta con un granchio che “pizzica e mozzica”. Il rap di Ciccio Merolla (percussionista partenopeo, ospite del disco) si impadronisce di “Scucciat' e me scuccià”, che con i suoi toni forti e pungenti esprime al meglio il disagio sociale e personale in cui si rischia di sprofondare quando la società non ha niente di meglio da offrire. La voce di Unaderosa (in bilico tra melodia e rabbia) si sposa alla perfezione con la durezza della denuncia di Ciccio Merolla. Una sensazione di malessere si impadronisce del corpo e della mente: un malessere che non è mal di testa o di pancia ma si chiama “Mal di Lucania”. Si tratta della riscoperta delle proprie origini quando si è lontani dalla propria terra. I sintomi sono quelli della malinconia, mentre riaffiorano ai sensi suoni, profumi, odori ed emozioni che fanno parte del passato (un amore finito, l’erba appena tagliata, i natali in famiglia e tanto altro). “L’Ammore Ch’ R’E’” è una poesia cucita alla perfezione, come un abito di sartoria, su sonorità sensuali, passionali ma anche struggenti. Dopo la partecipazione di Ciccio Merolla, vi sono altri due brani che vedono collaborazioni illustri: Vittorio De Scalzi, che di certo non ha bisogno di presentazioni (essendo parte della storia della musica italiana), presta la voce e il flauto traverso in “Je Sto Buono”, brano in cui emerge (forse più che negli altri) la fusione tra modernità e tradizione, mentre Marcello Coleman (massima espressione del reggae made in Italy) dà un prezioso contributo in “Rena Nera”. “Je Mò M’Accir’” tocca il tema scottante e attuale del bullismo e dell’esasperazione della vittima di fronte alle violenze subite: sonorità vivaci fanno da contraltare alla vocalità disperata e rabbiosa, che esprime con immensa profondità d’animo il disagio interiore che si vive. “Nu fatt' pe' n'at'” è forse (parere di chi scrive, ovviamente) il brano più debole dell’intero lavoro, ma la cui vivacità e genuinità è fuori discussione. Ci pensa “S’Adda Parlà” a riportare l’atmosfera su dimensioni infuocate, richiamando la pizzica e la taranta (rivestita di modernità) dell’opening track, mentre in “Nun Te Scurdà E Me Sunnà” la musica riflette con la sua drammaticità il tema delicato della malattia incurabile che colpisce un figlio. Il grido disperato della madre e lo strazio emergono dalla voce unica di Unaderosa. Ci si avvia alla chiusura con “La Voce Del Grano” e “La Bellezza Dell’Anima”: il primo è una rivisitazione in chiave personale del brano della Nuova Compagnia Di Canto Popolare, mentre il secondo chiude in maniera sperimentale e originalissima la terza fatica dei “Renanera”: qui suoni elettronici si mescolano ad atmosfere rarefatte e acustiche che accompagnano un canto in “Grammelot” (lingua volgare inventata da Dario Fo). Nel complesso ci troviamo di fronte ad un disco dotato di un cuore pulsante, di un’anima radicata nelle origini culturali lucane e con una mente rivolta alla modernità. La band ha dato vita ad un lavoro rivestito di un tessuto emotivo che non lascia spazio a dubbi sulla sua genuinità, sul suo elevato grado di dinamicità spaziando dalla leggerezza della pizzica e tarantella, alla sensibilità e delicatezza dell’amore nelle sue forme (verso la propria terra, verso la vita, verso un figlio o verso sé stessi). (Angelo Torre)