IL SILENZIO DELLE VERGINI  "Su rami di diamanti"
   (2018 )

“Il mondo dei robot” non è solo il titolo di un famoso film con Yul Brynner, ma è anche quel macrocosmo affascinante che, sempre più, fa presa sulla fantasia della gente che segue il loro evolversi con un sentimento contrastante, un po’ come i film-horror: ne siamo irrazionalmente attratti ed, al contempo, coscientemente impauriti. Il fascino che ne deriva da codesto mondo, lo sta sempre più contestualizzando Armando Greco, chitarrista e ideatore de Il Silenzio delle Vergini, progetto interamente strumentale che si avvale dell’ausilio di Cristina Tirella al basso. Inevitabile che, un poliedrico artista come Greco, avvertisse la necessità di proseguire, con progressioni stilistiche, una suggestiva ricerca sonora cominciata col precedente lavoro rilasciato un anno fa. “Su rami di diamanti” stempera gli oscurantismi del debutto, con cinque pezzi apertamente futuristi ma concretamente attuali, in cui, sotto-sotto, si sviscera la catarsi conflittuale dell’uomo, sempre più proteso al perfezionismo robotico ma non esente dal chiedersi quale sarà il confine che, nel bene e/o nel male, sfocierà nella totale convivenza umana, fino alla convinzione di far sbocciare l’amore anche tra automi. A tale previsione, cerca di rispondere il duo milanese con una coerente cinquina, aperta dall’incombenza di effetti e voci spettrali di “Intro”, e intanto i fascinosi arpeggi di “Londra” orbitano nell’oscurità, mentre commenti meccanici stazionano dietro le quinte. Tocca ai loops impazziti ed alle grida astiose e ingenue di “Io e te sulla piramide” confezionare un eclettico ipnotismo misterioso e viscerale. In mezzo a tanta elettronica è fisiologico che qualcosa risulti simile a passaggi precedenti, ma l’istrionismo del combo sa come rimescolare le carte in un istante con il singolo “Amore (003 e 009)”, in cui la tenebrosità iniziale scava nell’intimistica percezione passionale ricreando, ad hoc, quel mood sensorialmente malinconico che avvolge l’anima in pena. Infine, “Guerra” ha trame ossessive ma, uditivamente, più malleabili senza abbandonare quel quid speranzoso di uno speaker-cyborg che ribadisce come “un miracolo ha salvato gli esseri umani dall’annientamento…”; ma lo stridio finale lascia qualche dubbio su tale asserzione... Mezzo secolo fa, l’intelligenza artificiale vaticinata in “2001 Odissea nello spazio” ci mise di fronte ad Hal 9000, emblema della genialità evolutiva dall’impalpabile entità, capace di ribellarsi all’ordine umano. Benchè “Su rami di diamanti” si interroghi, principalmente, sulla possibilità di un profondo sentimento tra automi, crediamo che la costante e lodevole ricerca di Armando Greco sia, inevitabilmente, cominciata impattando la genialità profetica di Stanley Kubrik, trasfigurandola nel migliore dei modi. (Max Casali)