ELEONORA BORDONARO  "Cuttuni e lamé (Trame streuse di una canta storie)"
   (2018 )

Nella mia Catania, alla fine degli anni settanta, ho avuto la fortuna di conoscere un ”cantastorie”, sì… un vero cantastorie, di quelli che dipingevano le scenografie e che poi, accompagnati spesso da una chitarra scordata, ti facevano sognare. Nei fine settimana mi ritrovavo seduto nel salotto di un’umile “casa popolare” alla periferia del mondo, ascoltavo le storie di Orlando e Rinaldo, di Angelica e dei Paladini di Francia, e così passavo pomeriggi interi a fantasticare, pendendo dalle labbra di quel cantastorie che regalava racconti ed emozioni. Quarant’anni dopo, in un piovoso pomeriggio di marzo mi sono ritrovato ad ascoltare le storie di “Cuttuni e Lamè” e ho avuto la fortuna di rivivere quelle emozioni, di “risognare” quei sogni grazie alla poesia e alla voce “cangiante”, pungente e morbida di Eleonora Bordonaro. Proprio come le trame di un tessuto, le tredici “perle” che compongono il disco sono strettamente legate tra di loro e si susseguono in maniera incessante, con continui cambi di ritmo e sonorità che vanno dal tango, al blues fino a sconfinare in vibrazioni jazz-manouche. Un disco che è tutt’altro che un esordio, in quanto l’artista siciliana ha già inciso nel 2013 “La custodia del fuoco” con il Majarìa Trio, un lavoro pregno di espressività tradizionale e sonorità etno-jazz, oltre che ad essere la voce dell’Orchestra Popolare Italiana. “Cuttuni e lamè” è un lavoro forgiato assieme al polistrumentista Puccio Castrogiovanni, leader della formazione siciliana dei Lautari, che dona nuova voce e musicalità a “vecchie” poesie siciliane del ‘800 , intrecciandole a brani originali e a sonorità contemporanee. Il disco prende vita grazie alla voce di Eleonora che, accompagnata dalla sua chitarra, nel primo brano “Sentimi Rosa” omaggia i cantastorie siciliani, creando un clima intimo e solitario, degno scenario per un canto d’amore passionale e violento. Senza nemmeno un attimo di pausa, la narrazione continua e ne “La tassa di li schietti”, la nostra cantastorie racconta di un matrimonio ai tempi del regime fascista, il brano è impreziosito dalla performance dei Lautari e soprattutto dagli assoli di fiati (tromba e trombone) di Marina Latorraca. La poesia e la voce della Bordonaro tornano protagonisti nell’allegra ed ironica ballata “Tri Tri Tri”, dove sul testo del poeta modicano Mauro Cavallo (e accampagnata solo dalle percussioni di Alfio Antico), narra le bizzarre vicende di tre fratelli gemelli che litigano, giocano, si picchiano… ma che alla fine, come dovrebbe essere generalmente nella vita, si proteggono a vicenda. Un brano che infiammerebbe la notte della taranta di Melpignano. L’atmosfera allegra scema dolcemente nella commovente “Lu cielu unni si tu”, una canzone ricca di pathos, impreziosita dagli arpeggi di chitarra e mandolino, e da vellutate note di basso. Un brano che porta l’ascoltatore a riflettere sull’assurdità della guerra, attraverso il canto d’amore di una donna che attende con “disperato” ottimismo il ritorno del proprio uomo. L’alternanza di emozioni e sonorità ci porta al pezzo successivo “Li Fommi”, dove sulle corde di un pregevole swing-manouche di Rosario Moschitta (chitarra), la cantautrice sdrammatizza un testo che è una crudele invettiva contro le donne, ma soprattutto ci porta alla scoperta di un dialetto quasi sconosciuto: il “gallo italico”, lingua antichissima portata sull’isola dai Normanni e che nasce dalle mescolanze dei dialetti del nord Italia, francese e lingua siciliana. La parte centrale del disco, assume toni più severi e tocca alcuni dei temi fondamentali della tradizione e cultura siciliana: le ottocentesche miniere di zolfo, le solenni processioni del” Venerdì Santo” e il duro lavoro nei campi. Il “suono antico” del marranzano di Puccio Castrogiovanni accompagna ed esalta le qualità vocali della Bordonaro in “Disisidiru mangiari jancu pani”, una dolce melodia che “stride” in maniera geniale con le condizioni precarie in cui vivevano i lavoratori siciliani nelle miniere di zolfo. Il tema delle solenni celebrazioni del Venerdi Santo, particolarmente sentite in terra di Sicilia, viene riprese in “Lamento di Maria”, dove la carnalità della voce e l’ensemble di archi ti trasportano in una dimensione eterea. Nel brano successivo, “Maria passa ppi na strata nova” (antico canto di mietutura), esplode in tutta la sua drammaticità teatrale l’interpretazione della cantautrice siciliana, che soprattutto nel finale, grazie ad un piccolo “cameo” bandistico ripreso poi in “A Partita”, ti trasporta realmente all’interno di una della tante processioni del “Venerdì Santo”. Nella parte finale del disco riscopriamo la parte “songwriter” di Eleonora Bordonaro, si susseguono infatti i brani scritti dall’artista, in cui le sonorità si fanno più contemporanee: si va del “castigato” e profondo blues di “A Partita”, ai ritmi “latineggianti” di “Vuci”, dove spiccano gli arpeggi di chitarre e basso, fino ad arrivare all’ironico tango di “Cuttuni e Lamè”, che scorre sul dualismo di due donne totalmente diverse tra loro, ma che spesso convivono e si alternano in maniera equilibrata, nell’immenso e favoloso universo femminile. Il “capo”lavoro artistico della musicista siciliana si chiude con “E poi ci su i paroli”, un melodioso duetto con Puccio Castrogiovanni, musicato su una delicata poesia del poeta catanese Giuseppe Conderelli, e soprattutto con la visionaria “Ucchi di l’arma”, dove il suono di tre diversi marranzani accompagnano la fantasia adolescenziale dell’artista siciliana di “immaginare delle stanze, nella bocca della gente”. Forse mi sono dilungato un po’ troppo, ma in questo caso parlare di disco o di cd è davvero riduttivo, perché ascoltando “Cuttuni e Lamè” si capisce subito dai primi versi e dalle prime note che ci troviamo di fronte ad un’opera prima, che poi prima non è, che racchiude la poesia, la storia, la tradizione, la cultura e soprattutto la voce orgogliosa, disperata e talvolta rassegnata di una terra meravigliosa. Un opera che è frutto di una minuziosa ricerca storica, letteraria e musicale, che la voce poliedrica e suadente della Bordonaro, e l’immensa bravura dei musicisti che la accompagnano, rendono affascinante, “lavica” ed intrigante. (Peppe Saverino)