SEX PISTOLS  "Never mind the bollocks, here's the Sex Pistols!"
   (1977 )

Ci sono tantissime cose da dire su un disco come questo, delle quali la maggioranza sono già fin troppo note. Parto allora dall’aspetto musicale; i Pistols imparano la lezione dei Ramones meglio degli stessi maestri e danno vita ad un connubio tra muro di chitarre ed invettiva continua forse ancora più convincente del gruppo americano. I motivi di questa maggiore forza risiedono probabilmente nel canto marcio e dannato di Rotten, molto più adatto per questo tipo di musica. C’è poco da fare; siamo di fronte a 12 sassate rabbiose, i testi portano nel mondo del rock una ventata di iconoclastia mai vista prima. Nascono così brani ormai leggendari come “Anarchy In The U.K.” che tra gli attacchi alla politica e al costume ci regala una perla come “Don't know what I want but, I know how to get it”, frase capace di riassumere tutto il movimento punk, senza un fine (se non quello di andare sistematicamente contro il costume), ma necessario. “God Save The Queen” è forse il vertice assoluto della rivolta punk; uno sputo in faccia a tutto, le autorità, la religione, la cultura. “When there's no future, How can there be sin, We're the flowers In the dustbin” è una delle frasi più pessimistiche di sempre. È un terremoto che scuote tutto dalle fondamenta; la rabbia delle chitarre è perfetta per esprimere il disagio e la frustrazione di quella generazione, la voce fa anche meglio. Ogni canzone è uno spicchio di realtà metropolitana; da “No Feelings” , ritratto della freddezza sentimentale e dell’egoismo sfrenato della società occidentale, al realismo di “Seventeen” e “Liar”. Le esplosioni più fragorose, insieme ai brani già citati, sono “Holidays In The Sun”, “E.M.I.” e “Problems”; ma resta difficile trovare una canzone debole, piuttosto possiamo parlare di un sound unitario e grezzo che difficilmente ci dà tempo di respirare. Insomma, musicalmente siamo di fronte all’atto finale della rivoluzione anti-artistica lanciata dai Ramones. Andando più in profondità però, risulta alquanto difficile trovare un senso di coerenza in un disco come questo. È una via di mezzo tra il selvaggio e l’orecchiabile; probabilmente, invece che rivoluzionare le menti della gente, i Sex Pistols hanno creato un nuovo tipo di musica di consumo. La semplicità del punk è la trasposizione del beat, fatto per i ragazzi degli anni ’70, che intanto avevano trasformato l’amore ed il senso di solidarietà in odio verso qualunque cosa. In fin dei conti, questo disco è figlio della società e non di musicisti (ed infatti non lo erano); sta qui la sua importanza. È tutto un pretesto finalizzato ad esprimere il proprio disagio o semplicemente a dimostrare che i ragazzi di quel periodo non erano meno “ispirati” rispetto ai loro predecessori. La fantasia si trasformò in realismo, la bellezza in cattiveria, la melodia in violenza; ma non cambia la funzionalità della musica. Il punk vero morì prima di nascere, perché troppo estremo per esistere. Il punk che tutti intendono e del quale “Never mind The Bollocks” fa parte, è semplicemente un riadattamento della musica pop anni ’60 alla società nuova che si era formata. I Sex Pistols furono i veri alfieri del punk solo nel periodo in cui si esibivano in concerti violenti e nichilisti; il fatto di produrre un disco va già contro il principio fondante di questo. Il punk come genere quindi, seppur apprezzato, non si discosta molto dagli altri generi di consumo, cambia solo lo stile. Questo risulta ancora più lampante adesso che ci troviamo di fronte ad ondate di gruppi punk-pop. Il punk standardizzato vale quanto il pop. Ma resterà per sempre nella storia della musica il tentativo folle di trasformare un genere musicale in strumento polito e sociale; un’iniziativa che si è soffocata dalla sua stessa ambizione. Quei ragazzi volevano rovesciare i troni e aizzare le folle; ciò che veramente riuscirono a fare fu dare sfogo alla rabbia della loro generazione, mettendo in musica il loro disagio. Il segno che lasciarono nella musica fu devastante; un grumo di violenza che influenzò moltissimi musicisti negli anni a seguire. (Fabio Busi)