JOCELYN PULSAR  "Contro i giovani"
   (2018 )

Undicesimo lavoro in studio per Jocelyn Pulsar, “Contro i giovani” riporta ancora una volta quell’ironia malinconica del cantautore romagnolo, giunto a una fase cruciale della propria vita: si è sposato ed ha avuto un figlio. E il suo indie diventa autobiografico. Quarantenne, ha pensato di scrivere rivolgendosi ai suoi coetanei, con un videoclip per la titletrack che mostra una vecchia radio a cassette, ma soprattutto la normalità da antidivo di Pulsar. Ricordando come riusciva a vivere la propria generazione in gioventù: “Senza cellulare noi facevamo sesso”. E adesso che si fa? “Diamoci una mossa che poi arrivano i dolori alle ossa”. Nonostante l’evidente nostalgia degli anni Novanta, esplicata nel rap “Scopamica” con tanto di basso à la Saturnino, quello che spicca sono le situazioni simpatiche evocate per flusso di pensiero: “Vorrei avere tutta la vita, la forza di volontà della prima mezz'ora di dieta, che non funzionerà”. Anche in “Bombe inesplose”: “Ci sono cose che passano, altre che restano e costruiscono quello che sei, stringerò sempre un po’ gli occhi e mia nonna avrà per sempre una Renault 4 beige”. O anche gli strani autosabotaggi, all’inizio della canzone sul figlio “Superman contro Van Damme”: “Non mi metto la cintura in auto e la lascio suonare, per abituarmi ai suoni acuti. Nello smartphone ho inserito un pianto di bambina come sveglia, ogni 15 minuti. Poi il pezzo centra l’argomento principale: “Forse avere un figlio è come una partita a tetris e ad un certo punto scende un pezzo tondo, che non se ne potrà andare mai, e allora tanto vale iniziare a fargli un muro intorno. Mi verranno giù i pezzi sbagliati sempre più veloci, e mi ci abituerò giorno per giorno”. Il padre promette alla figlia una protezione come quella di Superman: “Ti difenderò dalle canzoni dei Modà”. Lo sguardo torna alle proprie ambizioni sfumate, in “Mi volevo comprare un bar”, e di nuovo al pensiero angoscioso del tempo che scorre, nascosto sotto umorismo inglese ne “Le balene”: “Pensiamoci ogni tanto alle balene che sono grasse, apparentemente senza amici, eppure sono così felici, perché gli basta un po' di mare davanti, e un po' di plancton da mandare giù”. Il brano in realtà è un’ipotesi della propria vita, se non fosse arrivata la moglie: “Se non mi sposavi tu, mi trovavi in pensione ai giardinetti a importunare le vecchiette di 65 anni, portati bene ma non benissimo”. E in “Bangladesh” torna il tema dei pensieri lamentosi dei musicisti sottoterra (cioè underground), già affrontati nel 2010 ne “Il gruppo spalla non fa il soundcheck”. Questa volta i nostri eroi, allungando i cavi nei preparativi, sono preoccupati che non venga gente al concerto. La situazione è la più comune: “Domattina lavoriamo tutti, sì”, e alla fine il pubblico è costituito dal titolare, e da “due che vivono nel Bangladesh”. Il lamento termina prendendosela anche con il recensore e le sue belle parole, che si dice entusiasta ma “stasera è andato a sentire Calcutta e mica me”. Non uno a caso, vista l’affinità con la malinconica macchietta che canta sul paracetamolo e sul Frosinone (mentre Jocelyn preferisce il Cesena). Un occhio distratto direbbe che Pulsar sia calcuttesco; ma, a ben vedere dall’anagrafe e soprattutto dall’inizio della discografia (2003), è Calcutta ad essere pulsaresco... (Gilberto Ongaro)