FRANCESCO DI BELLA  "'O diavolo"
   (2018 )

Di Francesco Di Bella ho sempre apprezzato la sottile abilità nell’infondere una grazia difficilmente spiegabile anche in contesti che ne sarebbero privi.
“'O Diavolo” - due anni dal brillante rientro con inediti di “Nuova Gianturco”, cinque dalla raccolta sui generis di “Ballads Cafè” - irradia un chiarore tenue, una singolare armoniosità fatta di poco. Sono canzoni esili, le sue; sofferte sì, ma ricolme di un’eleganza innata che le rende morbide, carezzevoli, inafferrabili.
Dai tempi d’oro dei 24 Grana, quello di Francesco è un canto garbato al servizio di storie di ordinario patire e quotidiana amarezza. Piccoli brani gentili che feriscono in punta di voce: intimi ed afflitti, procedono lievi, talora in forma confidenziale (la mesta introversione di “Stella Nera”), altrove devoti alle influenze di sempre - reggae, armonie mediorientali o nordafricane –, esaltate da un uso essenziale, mai spinto, del dialetto napoletano.
A prevalere è sempre un senso di vibrante malinconia veicolato da arie dolenti in minore e da una produzione accorta ad ammantare suoni ed arrangiamenti di un velo di tristezza ineludibile. Accanto alle percussioni battenti ed insistite della title-track, al reggae vagamente cupo à la Almamegretta di “Rivelazione”, alla chiusa sinistra di “Notte Senza Luna” trovano posto ballate docili, ammalianti, avvolgenti: “Scinne Ambresso” e “Il Giardino Nascosto”, che con raffinatezza riecheggiano Riccardo Sinigallia, sono acquerelli che celano un animo tormentato ed inquieto; i sei minuti e mezzo di “Rub-a-dub Style”, con una coda di languida intensità, sono forse il momento più affine alle trame avviluppanti dei 24 Grana; ricorre il leitmotiv della prigionia nella melodia pianistica di “Canzone e’ carcerate”, con archi struggenti a straziarne il finale, preludio alla bossa leggera di “Sulo pe’ te”, miniatura di composta ricercatezza che emana un fascino cortese, notturno, raccolto.
Tra accenni di amore incerto e discese in anfratti oscuri, “'O Diavolo” offre col consueto sopraffino garbo trentacinque minuti che magari non aggiungeranno altro rispetto a quanto di Francesco Di Bella già conosciamo: ma sono nove canzoni belle, dolcemente desolate, introspettive, cariche di cordoglio e porte con quel misto di consapevolezza e contrizione che pochi artisti in Italia sanno esprimere con tanta soavità. (Manuel Maverna)