THE RAMBO  "The past devours everything"
   (2018 )

Eccellente, intrigante, interessantissimo incrocio imbastardito fra Splatterpink, Deerhoof, Big Black, Pixies e vonneumann, con la correzione di un punk feroce e inacidito, a lambire perfino la pazzia criminale di certi Dead Kennedys (ascoltare “Child-conflict”, prego), The Rambo – originari del lodigiano - sono un trio spaccaossa capace di frullare in una mezz'ora abbondante di allucinato nervosismo schegge di follia e scariche di elettricità disturbata.

Nati come power-duo formato da Marsala (voce e chitarra) e Bang (batteria), oggi vedono la presenza di Capa alla seconda chitarra e soprattutto beneficiano dell’apporto artistico di – tra gli altri - Nicola Manzan e Paolo Cantù. Partoriscono dodici tracce furiose, istintive e free-form, dal taglio maniacale in cui Manzan docet, specie quando tritano brani da un minuto e mezzo a poca distanza dal grindcore (cinque brani stanno sotto i due minuti) o quando il loro approccio cattivello vira verso un rumorismo iperdistorto.

“The Past Devours Everything”, terzo album in cinque anni di vita, è un baccanale orgiastico in cui confluiscono idee dispettose impastate come ingredienti apparentemente casuali in una ricetta di food-porn. In realtà il bestiario narrato è brutalmente stiloso, strutturato con un’efferatezza calibrata e ragionata: sbracati e irriverenti, i tre affidano a rigurgiti ed asperità varie un sabba dissacratorio sviscerato da una prospettiva colta e meno barbarica di quanto appaia.

Testi smozzicati fatti di poche parole ripetute in una vertigine parossistica (la tremenda accoppiata d’apertura “Anger Son”/”Purification Song”, con quest’ultima che deflagra in una specie di western sbilenco), improvvisi scatti nevrotici, veemenza disordinata, delirio psicotico (“The Past Returns”) celano un lavoro concettuale non indifferente anche su suoni, arrangiamenti, produzione.

Chiude la beffarda “Wrath Lord”, cinque minuti e mezzo lanciati da un’ossessiva cadenza post-punk e placati ben presto in un largo melodioso di synth ed archi condotto fino alla fine in una straniante rilassatezza bucolica avulsa da tutto. Quasi irridente, come a vedere di nascosto l’effetto che fa. (Manuel Maverna)