CASABLANCA  "Pace, violenza o costume"
   (2018 )

Che genere fanno i Casablanca? Bella domanda... Per rispondere occorre fantasticare tra varie coordinate: quando sembra che esprimano grunge te lo mischiano con lo stoner, e quando pensi che sia rock te lo confondono con un ruvido prog. E quando credi di azzeccare la risposta, ecco che sono capaci di sfociare in un punk solido ed efficace. Questo è il formulario dei Casablanca, gruppo nato da elementi dei Deasonika, mantenendo i due membri originari Max Zanotti e Stefano Facchi, il primo voce, chitarra e autore testuale, il secondo alla batteria. Completano la band altri due comprimari, Rosario Lo Monaco (chitarra) e Giovanni Pinizzotto (basso). Questo secondo album è molto più maturo del precedente, benchè avesse riscosso notevoli consensi, ma con "Pace, violenza o costume", certamente i Casablanca incasseranno nuovi e stimabili consensi, poichè il tessuto espressivo dell'opera fa viaggiare con la mente e, soprattutto,con strali introspettivi, portando l'ascoltatore in confini inaspettati. Con un bell'ondeggiare di chitarra elettrica aprono il lavoro gettando le "Maschere", per poi sviluppare la stesura in un'efficace deflagrazione grunge, ma con particolari pause che stilizzano il pezzo e lo rendono per nulla monotono. Nel secondo pezzo "Ti sto cercando" una vigorosa linea di basso sostiene l'episodio con l'inserto di un ammiccante coretto "yeah-yeah-yeah", e fanno sì che l'insieme abbia connotati molto personali: il tutto orlato nell'ottima vocalità di Max Zanotti. "Ti scriverò da qui" è un riuscito impasto fra sonorità acustiche e un eclettico rock che fa del brano un riuscito amalgama. Inoltre, il passaggio del testimone tra le due linee sonore fa sì che non dia stanchezza ma risulti piuttosto fluido e piacevole all'ascolto. Sebbene "Minuetto" tenti qualcosa di nuovo, tra il cospirativo ed il canto solenne, si rivela un piccolo inciampo per il combo, che però si riprende alla grande col pezzo successivo "Niente rose": infatti, tornano ad esprimere la doppia identità morbida/granitica del loro sound che fa, comunque, apprezzare fin qui il tracciato di tutto l'album, in quanto sanno delineare anche belle tratte strumentali in cui resta coinvolto totalmente l'orecchio. Possono dare l'impressione di un combo insensibile, in quanto il sound è piuttosto coriaceo, ed invece occorre saper cogliere le sfumature giuste perchè ci si riscontri in significative evocazioni d'anima, supportati da tessuti piuttosto energici ma, al contempo, capaci di fornire una chiave riflessiva alla quale loro ambiscono non poco, riuscendoci pienamente. Fin qui le sorprese non si sono nascoste ma hanno sempre fatto capolino. Addirittura con un pezzo di "Sutura" raggiungono l'apice, anche grazie ad un video veramente ambizioso che un'altra alternative-band dell'underground si sognerebbe di girare, mentre loro ci sono riusciti grazie alla loro caparbietà ed al fatto di aver convinto con questo pezzo anche il video-maker Andrea Giacomini, realizzando un perfetto road-movie dove impatti tremendi di auto della Polizia e fuggiaschi riflettono quello che è il leitmotiv della clip, e l'intenzione del gruppo di esprimere una lucida follia quando si è spinti da un forte desiderio. Tuttavia, l'ecletticità della band è, ulteriormente, dimostrata con "Lei", in cui optano per un'arrangiamento totalmente diverso dalla lista, e lo fanno inserendo un suono di chitarra alquanto anomalo ma, al contempo, di grande vitalità, e l'amalgama corale ha quei richiami prog che furono della P.f.m. Trattasi di un episodio isolato ma sicuramente gradevole, perchè questo dà un maggior sapore a tutto il contesto scritturale. Con "Un taglio in bocca" tornano a far ruggire le chitarre in maniera invettiva, e si nota come certi oscurantismi vocali e di sottofondo non guastino all'atmosfera perchè sono gustosi rimandi ai Queens of the Stone Age. Slegato da ogni convenzione giudiziale, "Casablanca" è una bizzarra esecuzione che desta una piacevole sorpresa ed è certamente un finale messo a fuoco nel migliore dei modi dal grintoso quintetto, con un cantato di linee basse che ricordano il grande Lou Reed. Quello che, all'apparenza, può sembrare un brano svogliato e strascicato, in realtà, a bocce ferme, resta molto in testa, ed è quella malizia equilibrata che sanno infondere i Casablanca con magnetico istrionismo. Senza dubbio, "Pace, violenza o costume" conferma quanto di buono ci sia ancora da esprimere in un genere che sa riaffermare la propria voce con poliedriche soluzioni, come hanno saputo fare i Casablanca, tirando a lucido un disco che convince in toto per la sua poliedricità ed un forte impatto emotivo, mettendo in forte risalto la grande tecnica dei cinque, capaci di contemplare contesti non propriamente dozzinali, testimoniando quanto la parola "the end", per il genere trattato sia ancora lontana da scrivere. (Max Casali)