BANANA JOE  "Supervintage"
   (2018 )

Quando penso a Genova e alla sua gente usualmente, nel mio immaginario, dipingo personaggi legati al mare o ascolto idealmente le voci di quegli artisti che hanno reso immenso il monto cantautoriale italiano: come sempre, però, c’è l’eccezione che conferma la regola, e l’eccezione stavolta si chiama “Supervintage”, l’album di debutto dei Banana Joe.

Sicuramente sarò una voce fuori dal coro ma, a mio parere, il trio genovese, con una classica line up, fatta di chitarra, basso e batteria, porta con sé, a dispetto del titolo dell’album, una piccola ventata di novità: costituita da suoni sostanzialmente ruvidi e distorti, che strizzando l’occhio al grunge dei Nirvana e allo stoner rock dei Kyuss, si smarcano in maniera netta dalla musica che si ascolta di questi tempi.

“Supervintage” è un lp che scivola veloce all’ascolto, una buona mezz’ora di ottimo rock che, oltre a energiche schitarrate, può contare anche sull’importanza delle parole, che riescono spesso ad evocare immagini e a raccontare storie ironiche, ma in grado di rappresentare la scanzonata vita quotidiana di tre ragazzi di città.

L'incipit del disco fa subito capire cosa ci aspetta: "Tara" inizia infatti con un riff di chitarra lento, distorto e ipnotico, in grado di creare fin da subito una certa tensione che poi, all'improvviso, deflagra nell’eruzione vocale del cantante e bassista Andrea Gnisci.

Il brano non ha tempo di finire che subito parte il riff di "Neve", semplice e diretto, da due giri e via, che apre una canzone letteralmente spezzata in due, con una prima parte tendente al pop rock e con uno dei ritornelli più "orecchiabili" del disco, ammesso che si possa parlare di ritornelli in "Supervintage", e una seconda parte da ascoltare al massimo volume, con una batteria incalzante che viaggia in parallelo con l’elettronica e le schitarrate di Fulvio Masini.

I toni si abbassano decisamente in “Polvere”, dove rabbia, amore ed introspezione dilatano i tempi del sound, non c’è spazio per le digressioni musicali che hanno caratterizzato i pezzi precedenti, le note scivolano fluide e morbide in attesa del solito riff “rumoroso” e consistente che introduce “Uensdai”, componimento dal testo ironico che viene scolpito, come al solito, a suon di chitarra, voce e batteria e che ha, in un “caldo” giro di sax, un finale gradevole ed inaspettato.

Si cambia canzone ma non certo lo stile, ancora “fuzzbox” in azione, distorsioni di basso e chitarra introducono così “Vicissitudini di una ragazza dai facili costumi”, che nonostante i chiari riferimenti alla psichedelia anni '70, risulta essere, nella seconda parte, il brano più originale del disco.

Si ritorna a picchiare duro in puro stile stoner con “Vodka/Anima”, e stavolta a fare gli onori di casa è Emanuele Benenti, che seduto dietro la batteria, detta i tempi con un drumming incalzante ed adrenalinico.

Accenni di “psichedelia british” ritornano in “Queen dei cofani”, che mischiandosi ancora una volta al suono pieno, e spesso saturo e distorto della chitarra, prepara il gran finale psichedelico di “Supervintage”, che si conclude con componimento “Futurista” ed “Estremo”, anche se forse sarebbe meglio dire “Omertse”, che apre uno squarcio evidente sugli scenari futuri della band, e non a caso il brano conclusivo ti lancia nello spazio, ricreando un’atmosfera stellare con 7 minuti di digressioni musicali fatte di feedback, loop e distorsioni, di avanscoperte sperimentali e di chiare divagazioni noise.

“Supervintage” è un disco coraggiosissimo, il cui scopo non è certo la ricerca del facile successo commerciale, quanto la voglia e la passione di suonare (bene!) la “propria” musica, un disco che è una sequenza di brani dotati di un robusto impianto ritmico e che sono sostenuti da una valida ispirazione melodica, apparentemente un disco ostico ma che rende giustizia al vissuto del trio genovese, tanto introverso quanto ambizioso. Complimenti. Voto: 8 (Peppe Saverino)