ANDREA GIRAUDO  "Stare bene"
   (2019 )

Andrea Giraudo mette un po’ di blues in tutte le sue canzoni d’autore. “Stare bene” è un felice disco di racconti ed emozioni, trattate con approccio teatrale, per il quale Andrea sfrutta tutta la sua estensione vocale, con repentini salti d’altezza ed improvvisi aumenti e cali di volume. Nelle fasi sottovoce ricorda quasi Vinicio Capossela. Caso esemplare in questo senso è “Un mondo cassetto”, con la chitarra in levare quasi balcanica, e pensieri contrastanti tra sogni e rassegnazione: “Ho chiuso il mio cassetto con un sorriso, prima però ci ho messo dentro nuove speranze”. “A chi resterà” è una ballata che affonda nella nostalgia con dolcezza. Su “Chi sarai mai” il ritmo di chitarra acustica è più allegro, accompagnato dalle raganelle. Ma le parole non sono altrettanto gioiose: “Il tuo desiderio sa di Siberia e di schiavitù (…) dimmi chi sei tu, un sogno di gioventù”. “Cuore amico”, con un inciso funky di chitarra, accompagna un pezzo dal ritornello cantato in coro. Ci sono altri esempi di brani di questo soul energico da cantare tutti insieme, che ricorda il buon vecchio Zucchero. Come la titletrack di resilienza, dove il coro incide la convinzione dell’autore: “Sì, mi fa così bene, fingere che vada tutto bene!”. La fisarmonica si accende in “Dieci anni”, assieme alla ritmica di chitarra acustica in 3/4 (zumpappà zumpappà), e qui la teatralità di Giraudo si manifesta in tutta la sua intensità. Sarebbe una dichiarazione d’amore, e c’è una gentile ironia che non stempera il sentimento, al contrario lo intensifica. Il pianoforte è sempre presente, sullo sfondo o a prendersi l’attenzione, come in “L’isola in due”, dove nel ritornello c’è anche l’accompagnamento di un flauto traverso. La costruzione delle strofe qui è particolarmente efficace: “Una preghiera, non resta, e poi per cosa, se non fosse che si presta alla resa della rosa, come la vita fosse questa. In quest’isola nascosta non si riceve posta, né ordinaria né prioritaria, manca pure l’aria!”. Progressioni sognanti in “Poker” rendono un atmosfera magica, per un racconto teso incentrato sulle carte e sulle scelte. Dopo il poker, il coro torna allarmato nel pezzo musicalmente comico “La clessidra”, a ricordare “Girala girala gira la clessidra prima che sia troppo tardi, quando ancora puoi capire la minaccia e la sfida”. Un’incursione nel beat rock anni ’60 stile Rocky Roberts per “Potere volere” e per ribadire il concetto che “sei tu che vuoi, sei tu che puoi”, mentre un rapido shuffle blues per “Virgole in pasto” sublima la solitudine del testo, tra vodka e sarcasmo (“E la chiami società, e la chiami socialità”) in un’allegria musicale coinvolgente. E ancora più entusiasmo ne “La guarigione”, con le mani che battono sui secondi battiti (corretto!), l’inciso di hammond e la voce graffiata di Andrea che sfiora quasi la ruvidezza di Rino Gaetano. Il blues di Giraudo è un passepartout che gli permette di girare intorno a diversi genere in maniera uniforme, e di esorcizzare dolore e malinconia in una musica che non può non strappare un sorriso e far stare bene. (Gilberto Ongaro)