HARIA  "Harìa"
   (2019 )

E’ tutto in assenza di gravità il debut-e.p. degli Harìa, quartetto veneziano che, con appena quattro tracce, fornisce già un biglietto da visita rispettabile contribuendo, non poco, a rinverdire l’ambient(e) dell’underground con precoce maturità, frutto di un percorso fatto sicuramente di indecisioni e ripensamenti, prima di affinare la quadra definitiva: segno evidente che l’alacrità, alla lunga, ripaga sempre dell’enorme impegno profuso, ed in più si giunge a tagliare un traguardo personale fortemente voluto e ricercato. Il suono è plasmato e scolpito con equilibrio e chirurgico magnetismo, e la narrazione cavernosa di Giovanni Conigliaro conduce a passeggio sulla Via Lattea, tra pensieri sospensivi e rapimenti onirici. L’atto d’apertura conferma, nell’immediato, che il singer è il “Sofi”(sta) immaginato: ovvero, un ragionatore sottile ma non cavilloso che dipana la sua ars cantorum fra trillati di chitarra e scenari eterei, mentre “L’autunno di Helen” sfodera carattere diverso e più autoritario, con la batteria di Luca Castellaro che detta tempi costanti ed ombrosi, per effigiare i brani di quella stilizzante oscurità post-wave che non è cosi frequente da trovare nel bel paese. Magari, certi dotti del settore proveranno ad obiettare che il fiume degli Harìa sgorga dalla foce degli Editors e dei Cure, ma le chiacchiere stanno a zero: non si nega che la band abbia potuto assorbire qualche influenza, ma è anche lapalissiano che, nelle loro formulazioni, ci siano risvolti ricercati ed individuali persino nelle liriche, che non danno mai l’impressione di annacquarsi nel dozzinale. Forse, è “Illusione” di innovativo ma pure in questa traccia il combo dà il meglio di sé, in bilico tra shoegaze e lugubre wave, con linee di basso e chitarra che orlano i contrappunti della drums, chiamata ad appoggiare l’ottenebrazione dell’insieme. “Futurista” non è semplicemente il titolo del singolo di punta, ma per noi è (oltremodo) l’attributo indiscutibile del loro sound compatto, inebriante, godibilmente incorporeo, dilatatore di sequenze immaginifiche, che zavorrano l’orecchio negli abissi inarrivabili della ponderazione con solo 4 stanze. Ed allora, s’anela la voglia di un album quanto prima possibile, perché l’ossigeno scarseggia e c’è bisogno di più Harìa... (Max Casali)