PAOLO NANNETTI  "Cronache dalla zona est"
   (2020 )

Se storci la bocca appena senti uno strumento o una voce che suona fuori dai canoni imperanti nei trend musicale del momento, o se provi l’emozione della nostalgia soltanto sulle note di "Mamma Maria" alla reunion dei Ricchi e Poveri, o se non conosci il significato del termine moviola, allora questo non è il disco che fa per te. "Cronache dalla zona est'' di Paolo Nannetti richiede un ascolto libero da preconcetti e preclusioni, iniziando proprio dal passato dell'autore.

Infatti nel curriculum di Paolo Nannetti, a lungo tastierista e compositore dei Sythonia, band protagonista della "rinascita progressiva" degli anni ottanta, c'è molto prog ma questo, a mio giudizio, non è un disco legato a quel genere. Certamente c'è spazio per belle digressioni con intrecci tra synth e violini, schitarrate gilmouriane, brani strumentali e linee vocali che rimandano al Banco ("Il momento del giorno") o Branduardi ("Luce sui tetti"), ma rimangono all'interno della forma canzone "classica", ben diversa dalla “suite prog” comunemente intesa.

Dicevamo, il nostro Paolo si mette in proprio, assumendo oneri e onori, e compone queste diciotto tracce ritornando nei luoghi del suo passato "con la testa chiusa tra le spalle" ("al guscio della mia capigliatura" avrebbe aggiunto Branduardi in "Confessioni di un malandrino", ma forse di capelli non ce ne sono più tanti...), e prendendo ispirazione da particolari come un raggio di sole, un silenzio o una strada di un tempo.

"Ora tutto sembra immobile, nulla pare in movimento c'è un silenzio che oggi credo di aver vinto" (da “Canzone d’inverno”).

Le canzoni sono flussi di pensieri, intense, delicate, nostalgiche mai troppo malinconiche. Sono acquerelli con le tinte appena accennate, mai invadenti. La voce è sussurrata e confidenziale, con il tono di chi non vuole farsi sentire a tutti i costi. “Cronache dalla zona est” è composto da 8 canzoni, due strumentali sullo stesso tema (in apertura e chiusura) e 5 brevi passaggi che riprendono alcuni dei temi delle canzoni.

Spiccano all'ascolto: "Luce sui tetti", per i suoi accordi liquidi nell'intro e per la coda strumentale che rimanda al passato di Nannetti, l'esperimento pop "A night in Cirenaica", che sembra spostarsi su territori dance e alla fine risulta divertente, "Diario 74", che con il ping pong tra la voce recitata, che racconta il concerto del '74 a Parco Cavaioni, e le parti cantate, riesce a rievocare il clima del tempo che fu, poi le atmosfere lunari di "Nave dei pensieri" che rimandano al Robert Wyatt di “Rock Bottom”.

Insomma un disco di cantautorato un po' old school, ben arrangiato (Alberto Celommi alle chitarre, Maurizio Lettera alle percussioni, Maria Robaey al violino e Marco Giovannini ai cori), e con canzoni che nascono da un'urgenza artistica. "Canzoni che avevano bisogno di essere realizzate e poi magari abbandonate, ma che rispecchiano alcuni anni della mia vita e del mio divenire anche attuale" come dice l'autore nell'intervista qui su Music Map (http://www.musicmap.it/interviste/new.asp?id=475). Ma la domanda è: un disco con così tanto passato dentro, può anche avere un futuro? Speriamo di sì. (Lorenzo Montefreddo)