PENTOTHAL  "Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa"
   (2020 )

Sento in giro che sono in tanti coloro che ammettono di non riuscire più ad ascoltare un intero album poiché preferiscono fruire di più variabili, puntando, spesso, sulle compilations. Però, impattare il terzo lavoro dei Pentothal “Sopra la panca la capra campa, sotto la panca la capra crepa” è come gustarsi 7 ascolti diversi. Inoltre, se teniamo conto della scelta (in verità poco commerciale) di battezzarlo col più lungo scioglilingua, si evince già dalla traccia del titolo che si assorbe quel velo di follia che denota la scrittura dei Nostri, nella quale sono radicati distillati di sperimental-pop che vagano con abbondanti stramberie, mentre ci danno di gas funkeggiante nel singolo “In arte Giumenta”, in prevalenza strumentale che, per somaticità, richiama l’estro temerario che fu di Battisti di “Il veliero”, il quale azzardò due minuti di intro prima di cantare e con la quale andò contro ogni logica di mercato. All’appello della leggerezza, “Grilli per la testa” risponde “presente!”, tra tremolii spiritici e fitta vegetazione indie, che in pochi sanno coltivar bene come loro. Bizzarria strisciante nella successiva “Sulla testa” , pronta a modellare componenti eterei e stravaganti vibrati di alt-rock. Con l’altro singolo “Puttana Eva” diamo atto al combo di saper sfoggiare un andazzo di atipico new-country, siringato di loops e stralunata effettistica, ed è anche per questo che non si riesce ad identificarli con nessuno, e ciò rende felici i ricercatori del new-qualcosa. La “Domenica di ferragosto” splende nel cielo del Trio frusinate, in quanto illumina la brillante vetrina dell’assemblaggio: iridescente traccia che trotterella tra scalpitii di tabarin e brusche virate tese a non dare punti di riferimento, volti a scuoterci con occhi strabuzzati, a riprova che i Nostri eroi affrontano generi con spavalderia cool. A questo punto, mettiamo che qualcuno di voi voglia metterli alla prova con echi giamaicani: sapranno essere all’altezza? Certo che sì! Ecco che accendono “Il falò” che scalda con ricami di reggae intinto nel dreamy, contemplato per deposiare spensierati ricordi in chiusura. Ora, speriamo che non debbano passare altri due lustri per ritrovarli in campo: c’è bisogno (più spesso) di estrosi musicanti che credono fermamente nella mescolanza sonora, assumendosi pur dei rischi, certo! Ma quando il consenso sarà (presto) consolidato, sapranno bene quanto gusto si assaporerà in fierezza e progettualità, che nulla ha da spartire con banali etichette che si tenterà di affibbiare ai Pentothal: è partita persa in partenza, poiché loro fanno classifica a parte. (Max Casali)