10 HP  "Mantide"
   (2020 )

Non è insolito, nel panorama pop rock italiano, emergente e non, annoverare il contenuto musicale e lirico di un album alla categoria delle opere artistiche ispirate da viaggi metaforici e percorsi introspettivi. Album con brani di cui i testi si pongono fondamentali domande sul senso della vita o sulle insidie che minano la ragione e la lucidità dell’essere umano. Anche il trio siciliano 10 HP, col loro pop vestito di soft-rock, realizzano “Mantide”. Una release di 10 brani contenutisticamente spazianti tra quanto detto sopra ed altre riflessioni sulla vita, sulla necessità di non tradire la propria onestà intellettuale solo per ottenere il successo, incluso un giudizio negativo inerente ad una certa sotto-cultura della televisione e dei social. Ma anche l’incapacità di comunicare, la dipendenza malsana in un rapporto di coppia, l’inquietudine del dubbio di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sono tutti argomenti di questo album. “Mantide” e “Figli della luna” sono i due singoli che lanciano il prodotto discografico e lo fanno con due simpatici videoclip. In “Mantide” spicca, alla fine, la parodia della scena epica del film “Ritorno al Futuro”, ove Marty McFly, fingendosi Darth Vader, extraterrestre proveniente dal pianeta Vulcano, spaventa nel sonno George McFly col suono della violenta chitarra di Eddie Van Halen. “Figli della luna” è l’altro videoclip; un po' più interessante, dove, oltre alle tematiche relative al dramma dei migranti, non passano inosservate le simpatiche animazioni di Eleonora Lambo, tratte anche da alcuni disegni realizzati dai bambini di una scuola italo-tedesca di Amburgo che accoglie figli di emigrati italiani in Germania. Musicalmente parlando, il pop vestito di soft-rock dei 10 HP è un genere pulito. Rassicurante e radiofonico. Adatto a chi predilige ascolti semplici, in linea con la concezione italiana di rock. Un genere che però deve per forza comprendere i requisiti di marketing pretesi dalle major per il mercato discografico italiano. Dunque un genere non aggressivo, che possa piacere a tutti, che non disturbi i vari talent show e gli “amici” di Sanremo o, addirittura, ne ricalchi in qualche modo gli schemi musicali. I 10 HP suonano e ci mettono del loro. E’ una band che, salvo qualche raro episodio musicale, nella produzione tende a far proprio l’approccio discografico di cui sopra. Lo fa però con uno spirito che, se non è puramente pop, è, appunto, pop vestito di soft-rock. Non graffiante ma più accomodante. In “Figli della luna”, brano d’apertura, elemento che desta interesse è certamente la modalità di canto adottata, con doppia voce in ottava bassa/alta. Dall’andamento più romanticizzante è invece “Se bastasse un segno”, con la sua atmosfera un po' evocante il fake-rock de Le Vibrazioni. Poi “Hai già venduto l’anima”, dal riff principale richiamante in qualche modo il buon saggio Bryan Adams dei migliori anni. Ed il riff un po' più interessante della title track “Mantide”, che a suonarla alla chitarra con una distorsione più intensa avrebbe sicuramente contribuito a mutare in maniera suggestiva lo scenario. Ma interessante, anche se non originale, è la tematica scelta nel testo del brano “Il sogno di Ulisse”, ben accompagnato da una melodia semplice e ben congegnata, in ogni modo tale da rendere il brano credibile. Inoltre, il timido tentativo di osare essere (un po' più) rock di “Sotto una nuova luce”, la seriosità de “La mia ragione che brucia”, l’intenzionalità coloritamente pop di “C’è un mondo”; e l’approccio batteristico jungle sul ritornello di “Nella stanza di Chiara”. Infine “Forse”, con l’ugola dai toni sanremesi adatti a trattare liriche che parlano di inquietudine. Sommariamente, dunque, questo “Mantide” è un album dall’ascolto facile. Forse anche troppo. Talvolta l’essere troppo semplici sconfina nell’essere scontati. E in questo tempo, in cui è stato fatto e detto tutto, in cui si continua a vedere scritto a sproposito “rock is dead” solo per giustificare l’asservimento alle major ed ai loro standard, non sarebbe nocivo darsi una (s)regolata e, magari, essere finalmente tacciati di produrre musica underground. (Vito Pagliarulo)