SLOW WAVE SLEEP  "Spiro nell’ecosistema"
   (2020 )

Trasporre emozioni in musica vuol dire scrivere colonne sonore di racconti ambientati in un mondo surreale. Ivi ci si esprime in versi, con cadenza musicale. E la cadenza è liquida come l’acqua, perché i suoni che ne provengono sono sfuggenti, si adattano all’idea ma si svincolano da qualsiasi classificazione, definizione. Proprio come l’acqua. Il suono è acqua e l’acqua è suono. E questo concerto va in scena grazie ad un collettivo di musicisti visionari, che si sono per l’appunto messi in testa di portare il sonno ad onde lente in giro, per il popolo del regno. Questo collettivo porta il nome di Slow Wave Sleep. Un progetto musicale bolognese che non si ferma alla sola produzione musicale ma va oltre, comprendendo altresì la realizzazione di un cortometraggio, di un libro, di un videogame e collaborazioni artistiche varie. L’album in questione, dall’emblematico titolo “Spiro nell’ecosistema”, è registrato completamente in presa diretta e realizzato per la AR Recordings. E’ un concept album di cui la fascinosa enigmaticità dei brani si evidenzia nel fatto di non avere, questi, riferimenti espliciti all’album, rendendosi dunque comprensibili una volta estrapolati dal contesto. “Fiore di loto” è una sonorizzazione fiabesca che diviene incalzante, ritmica, e sembra disegnare nelle menti orizzonti surreali. A metà strada tra la realtà ed il sogno. Ma è il sogno che prevarica. “Caveat eamptor” è densa di cambi di ritmo, per figurare diversi umori e stati d’animo nella narrazione. Cantata con la voce che dà il senso ed il peso alle parole, per conferire il degno pathos agli avvenimenti. Anche qui la realtà pare diventi sogno, o viceversa. “Ragnarök” è una miscellanea ritmica, tra la samba ed il rock incalzante. Evento particolare è l’improvviso intervento di un sassofono liberatorio, in soccorso dell’ascoltatore intento nella riflessione indotta dalle liriche. Come la quiete dopo la tempesta in un mare di stati d’animo. Poi “Shiroi”, che è una suite ed è tra le tracce più interessanti dell’album. Con la purezza di un arpeggio di chitarra classica, con le ambientazioni liriche di rimando a scenari nostalgico-fiabeschi, lontanamente rievocanti un modo di scrittura ad alto tasso poetico. Inaspettatamente ci sono degli elementi che portano la mente agli anni settanta del secolo scorso ed a “Jenny e la bambola”, il concept album degli Alunni del Sole. Poi cambi di ritmo giocherellanti tra partiture riflessive e movimentati country. Indubbiamente un brano che pare provenire, per svariati motivi ed anche per la durata (11min e 04 secondi), dal periodo del rock progressive italiano. “Elogio della follia” è la descrizione in farsa delle situazioni di un personaggio con “faccia spenta tendente al gotico”. Ha la cadenza dell’opera melodrammatica, col finale adoratorio di chi chiede gli venga solo concesso un ballo, esortando a non preoccuparsi dei fischi perché tanto egli applaudirà lo stesso. Inoltre “Garuda”, coi suoi rimandi mnemonici ai Genesis di “Lamb lies down on Broadway” e “A Trick of the Tail” (nel mezzo del break-up con Peter Gabriel), e “Valzer nero”, che mischia l’intensità di un blues moderno con un cantato metaforico teatrante alla Vinicio Capossela di “Marajà”. Infine, il rock progressive dall’intensità variabile, con teatralità e variabilità lirica, alla stregua di una rapsodia. Questa è “Parresia”. Per concludere con “Angela”. Un dolce saluto acustico apparentemente sussurrato, all’alba, quando tutti dormono e nessuno può ricambiarlo. Ma intanto, bisogna partire. Ricordando che “se ti becco ancora a frignare sai che mi trovi al tuo fianco”. Interessante produzione. A metà strada tra le contaminazioni rock progressive ed il melodramma. Frutto del lavoro effettuato dal vivo da parte dei bravi strumentisti, in unica sessione, ma anche grazie alla capacità interpretativa del vocalist. Che pare sentire sgorgargli dalla pelle ogni sillaba che canta. Come una fonte di musica liquida. (Vito Pagliarulo)