MADELEINE COCOLAS  "Ithaca"
   (2020 )

Quando non più tardi di qualche anno fa, en passant dissi al mio amico Giacomo che ascolto anche parecchia musica strumentale, non ci voleva credere. La evitavo come la peste, un tempo: anzi, la demonizzavo perché monca ed incompleta.

Tuttavia, ero proprio in compagnia di Giacomo quando assistetti al più indescrivibile concerto della mia vita, tre anni orsono. Era un concerto solo strumentale. Tim Hecker al Franco Parenti a Milano. Quarantacinque minuti. Lui poco più di un’ombra. La sala buia invasa dal fumo artificiale. Nacht und nebel. Che roba.

Australiana di Brisbane, laureata in composizione, Madeleine Cocolas vanta una carriera equamente suddivisa tra musica per telefilm, creazioni per installazioni, brani per balletti e mille altri progetti interdisciplinari che fanno di lei un’artista poliedrica e versatile, sempre gravitante in un suggestivo intorno di neoclassicismo, ambient di nuova generazione ed elettronica docile.

Pubblicato per Room40/Someone Good, “Ithaca”, autobiografia muta di inusitata delicatezza, è concepito come viaggio mentale declinato in otto movimenti di impalpabile bellezza. Divagazioni che richiamano i Talk Talk più eterei ed astratti - quelli veri, non “It’s my life” – si susseguono tra fughe di synth e aperture che somigliano a nubi purpuree (“A basic understanding”), ricamando arie diafane, svenevoli, sfuggenti.

L’apertura esitante di “Across the ocean, but not yet” ricorda la coppia Pat Metheny/Lyle Mays nei morbidi arabeschi del pianoforte e nella costruzione figurativa, mentre i sei minuti e mezzo di “Promise” si muovono flessuosi su territori prossimi ad Angelo Badalamenti. Poco importa che “Circular” sconfini in una landa sconsolata al confine con una dark-wave dei bei tempi andati, con quel pulsare rotondo del basso che fa pensare perfino a Simon Gallup, o che “Let’s talk about you” sfiori Jean-Michel Jarre nella sua briosa frenesia, contraltare all’incedere spezzato ed inafferrabile della conclusiva “Return home”, epilogo evocativo e scenografico.

I singoli brani non contano, in fondo: quello che sinuosamente si fa strada lungo le spire avvolgenti di “Ithaca” è un flusso ininterrotto di puro pensiero: materia incorporea, narrazione gentile che non necessita di parole per raccontare con abbandono la sua storia di letizia e vivida emozione. (Manuel Maverna)