CHIARADIA  "Primo vere"
   (2020 )

Selezionato per la Targa Tenco 2020, l’album “Primo Vere” del cantautore Chiaradia (Gianluca Chiaradia) è composto da 8 canzoni, arrangiate soprattutto dalla chitarra. Acustica ed elettrica. Un folk blues che a volte lascia il passo ad un simpatico pop con chitarra in levare, come nei casi di “Canzoni che ci salvano” e “Marta”. La vocazione cantautorale si sente, per l’accuratezza delle parole scelte per riempire i versi. Ed anche per le tematiche scelte, a volte impegnative, come quella di “George”, dedicata a George Stinney, il ragazzo di 14 anni tristemente noto per essere stato condannato alla sedia elettrica. Per questa canzone, Chiaradia rinuncia alle perifrasi e si limita a raccontare l’accaduto come una notizia di giornale, con l’eccezione di una punta di sarcasmo: “Era estate, faceva caldo, il giudice voleva solo andare a casa / che sua moglie quella sera, le aveva promesso la sorpresa / e la giuria ha valutato ogni singolo particolare / nei due minuti ha sentenziato che quel ragazzo doveva morire”. Per la sopracitata “Marta” invece, il tono è molto più irriverente. Non ti aspetti, da una canzone presentata come “storia di una ragazza tossicodipendente”, che la voce ripeta continuamente “Marta si fa, si fa, si fa”. Sarà perché il punto di vista è quello dell’ex. L’altra canzone allegrotta, “Canzoni che ci salvano”, ripete l’anafora “sono le canzoni che ci salvano”, elencando le cose da cui la musica ci salva: “Dalle lamentele dei clienti, dal freddo delle fabbriche, dalle strade di notte, i doppi turni e i calci in mezzo ai denti”. In questo pezzo emerge un elemento ricorrente: una tensione verso il mistico in chiave cattolica (“Tra santità e la voglia di peccare”). C’è anche nel brano d’apertura “Anima nera”, che lungi dall’essere uno sfogo di rabbia alcolica, come l’omonima canzone di Elisa Bonomo, è invece un’invocazione e una confessione: “Signore assolvi i miei peccati, dona pace ai miei pensieri, per tutto il male che ho commesso, quest'anima sporca ti appartiene, quest'anima vuota ti appartiene (…) Signore sono alla deriva, e solo il fiato che non regge / e se mi tenderai la mano farò parte del tuo gregge”. La spiritualità del pezzo è tradotta anche nella sonorità scelta, con violino ed una chitarra elettrica carica di riverbero e delay. Ma tornando a “Canzoni che ci salvano”, tra le rime c’è un riferimento al luogo dove Chiaradia ha scritto quest’album: “Tengono a bada le maledizioni, e i fantasmi nascosti tra i mattoni delle case”. Gianluca ha concepito quest’album rinchiudendosi in una casa isolata, abbandonata e senza riscaldamento, un’esperienza da fare almeno una volta nella vita. E nella solitudine, asserisce d’aver dialogato con un’entità. Una chitarra tranquilla accompagna l’accorata “La strada di casa”, dove con un ritornello evoca tessuti impregnati di sentimenti: “Prendi il lembo di un filo della mia giacca sciupata, tiralo per chilometri ovunque tu vada, e poi seguilo sempre, per trovare la strada di casa”. La chitarra arpeggiata culla le parole di “Ancora spazio”, dove si ricerca una spiritualità autentica: “Non scambiare il tuo dio per un portafortuna”. Si confrontano situazioni di difficoltà e languore, con un’ostinata voglia di vita, per la quale appunto, c’è ancora spazio: “La mia poetica non era a fuoco, così ho comprato della benzina / per anni ho pensato che aprire il cuore equivalesse a una vetrina (…) Ora la morte mi ha preso per la mano, e mi accompagna come un gatto (…) Alla mattina hai quattro zampe, mentre alla sera ne perdi una”. In “A proposito della primavera” il batterista gioca con un controtempo in strofa, ma ancora una volta le parole sono al centro dell’attenzione: “In questo mondo dove niente ci appartiene ritorneremo liberi / tra le caverne che costruiremo per divenire spiriti”. Ma l’utopia disiata appare lontana: “Da qualche tempo la primavera ci sembra più distante”, ricordando il finale della “Povera Patria” di Battiato. Infine “Rebibbia”, coronata da un suggestivo post rock, evoca un tema caro ai cantautori storici, come Lucio Dalla ne “La casa in riva al mare”: quello del carcere. Ma il prigioniero non fantastica su una casa bianca: è il compagno di cella di un suicida, e delle sue emozioni: “Qui solo buio e cemento, e quando piove si sentono echi di una vita lontana. Il mio compagno di cella ha sgozzato sua figlia, e ogni notte si sveglia, gridando Graziella”. Per chi ama la canzone d’autore, Chiaradia è garanzia di cura: non di originalità a tutti i costi, ma neppure di banalità. Usa consapevolmente le strutture tipiche, per proporre la sua personale visione del mondo. Come un cantautore che si chiami tale sa fare! (Gilberto Ongaro)