FUSE BOX CITY  "Shipwreckers"
   (2020 )

Votati all’eclettismo sonoro, rimasticatori musicali e profondi anti conformisti, i londinesi Fuse Box City sanno andare controcorrente, tornando indietro nella storia musicale per mostrare sentieri trascurati, trovando nel passato un varco per una nuova era musicale, una nuova avanguardia.

Con una tecnica da consumati dj, ma con l’animo di antiquari, i Fuse Box City rianimano i rottami di navi affondate per varare le loro zattere musicali e raggiungere approdi inesplorati.

Qui si recupera tutto: suoni da primi esperimenti hiphop, mantra dal sapore kraut rock, voci eteree e atmosfere industrial, e, tra cut up coraggiosi e altre diavolerie, ci portano in uno scenario talmente “post qualcosa” che sfugge ancora a una definizione.

Beat dichiaratamente “old school” e voci effettate aprono “Shine on”, il primo dei cinque brani di “Shipwreckers” (appena uscito per Weeping Prophet Records), che poi passerà attraverso voci di sirene tentatrici, proclami distopici e robuste schitarrate heavy per giungere a un gorgogliante finale tra voci sghignazzanti in sottofondo.

In “If you knew” si parte con voce maschile meditabonda alla Robert Wyatt per virare su un crescendo kraut, prima Tangerine Dream (con voce femminile), poi su un finale ritmico che sembra uscito da Tago Mago.

“Pub licker” (forse il brano più lineare) ci prende per mano e porta in un mondo desolato in compagnia dei Belle and Sebastian sotto valium e di una scarna ritmica che è come una goccia che scava nelle profondità della corteccia celebrale.

La lunga coda narcolettica è sconsigliata agli autisti di mezzi pesanti.

Ritmiche spezzate, voci ansimanti e cori da rematori ubriachi: questi gli ingredienti di “Crossing swords”.

L’ultimo brano “Bendy one” è una maratona di tredici minuti che parte con voci da cartoon e micro ritmiche che stentano a prendere forma tra bordoni e suoni lancinanti, come in un incubo lynchiano, per poi trasformarsi in una sorta di rito propiziatorio con tanto di voci salmodianti e urlacci per scacciare il maligno.

Giunti alla fine ci si ritrova sperduti nella propria stanza di casa con i familiari che ci guardano perplessi.

Tutti i brani partono da assunti musicali differenti per raggiugere, dopo cambi spiazzanti e peripezie varie, emozioni simili come materia grezza rimodellata in sorta di fonderia musicale.

Ogni elemento smontato dalla sua vecchia funzione ritrova nuova vita e operatività nella fabbrica dei Fuse Box City.

Se volete vivere a fondo quest’esperienza, la canicola di agosto potrebbe essere d’aiuto. (Lorenzo Montefreddo)