FALL SHOCK  "Interior"
   (2020 )

E’ un’esperienza affascinante addentrarsi nell’ascolto di “Interior”, debutto per l’etichetta francese Manic Depression Records del progetto Fall Shock, duo formato dal vocalist e tastierista (nonchè ghost producer) Francesco Kay e dal chitarrista Markus O.

Innanzitutto per ritrovare – in purezza – vestigia evidenti di un synth-pop che pare perdersi nel lato oscuro degli eighties, fedele alla linea nelle ripetute contorsioni di un post-punk primigenio condotto al passo di un’incalzante, pulsante dark-wave; ma soprattutto per assistere alla rilettura di quel canone attraverso il prisma di sonorità magistralmente adattate ai tempi, nonostante il piglio retrò sia insopprimibile per quaranta minuti antichi ed ammalianti.

Come se i Depeche Mode di “Black celebration”, i Clan of Xymox di “Medusa” e i New Order di “Low life” si fossero dati appuntamento trentacinque anni dopo ricreando una magia mai sopita: un milieu di brillante vitalità riattualizzato con eleganza e devozione. Nelle nove tracce di “Interior” trovano spazio tutti i crismi del genere: batteria elettronica, bassi rigonfi, voce profonda e cavernosa mixata appena in secondo piano (“Illusion”, con chitarra flangerata e suggestioni Cure nella strofa), un diluvio di synth che sommergono melodie ampie e suadenti.

Se “Feels eternal” imbastisce un ritornello su un cambio di tonalità che richiama perfino certe raffinatezze dei Japan, negli oltre sei minuti di “Nude grace” si affacciano spettrali reminiscenze dei Sisters Of Mercy (periodo “Body electric”/“Anaconda”, seppure con un diverso ruolo della chitarra), così come nella cadenza sintetica al rallentatore – interrotta da una improvvisa, scintillante accelerazione - di “Holy race” si percepisce una lontana eco degli Ultravox di “Lament”.

Dal gancio allettante di “Synthetica” alla chiusura desolatamente ossessiva di “Marion Valentine”, “Interior” è un sottile, corroborante piacere riservato sia ai nostalgici, sia a chi voglia accostarsi ad un modo di fare (soprattutto di comporre) musica magari desueto, ma ricco di un’allure irresistibile e coinvolgente. (Manuel Maverna)