KRAFTWERK  "Remixes 2020"
   (2021 )

Correva l’anno 2020, pandemia e tutto il resto. Sembrava ormai tutto finito, quando alle ultime anse di dicembre arrivò, sul Pianeta Terra, un album nuovo dei Kraftwerk. Oddio, emozioni, erezioni, ma poi saltò fuori la verità. Trattavasi solo di un album di remix, uscito in digitale, e non certo di roba nuova. D’altronde, tra transfughi ormai antichissimi (e nemmeno poi tanto male nelle produzioni, vedi Karl Bartos) e passati a miglior vita, si sarebbe dovuto andare a bussare alle porte di Ralf Hutter, che da decenni garantiva novità, ma che nei tre decenni successivi a “Electric cafè” aveva combinato nulla, o quasi. Continui tour, celebrazioni, aperture di mostre e di musei, ma niente di nuovo, forse anche per la semplice ragione che chi aveva aperto un mondo, negli anni ’70, già a fine anni ’80 era sembrato ormai fuori moda. D’altronde anche Einstein, nel 2020, avrebbe rischiato di essere surclassato da qualsiasi 13enne nerd, e allora meglio così. “Remixes 2020” risulta quindi essere solo un giochino per dj, che vanno a centrifugare 4-5 tracce (addirittura 9 diverse versioni di “Expo 2000”!): nemmeno malaccio, se vogliamo, rinchiudendo quelle antichissime produzioni in uno strano cul-de-sac temporale da non capire a che epoca ricondurle. Magari era la dimostrazione che, con una ventata di aria nuova, anche brani di 40 anni prima potevano stare al passo con le nuove generazioni. Ma rimane roba solo per intenditori, per amatori dei robot, quelli che all’epoca facevano impazzire la gente con un vocoder: nel 2020, anche bambini di 4 anni, con una app di un cellulare, avrebbero potuto ripetere “We are the robots” nella stessa maniera. Sic transit gloria mundi. (Enrico Faggiano)