LUCA GIUOCO FEAT. PAOLO MESSERE  "Double spectral image"
   (2021 )

Un incontro con il lato spaventoso della propria personalità, il gemello di sé. Luca Giuoco, prodotto e aiutato da Paolo Messere, pubblica “Double Spectral Image”, che basa il proprio concept su quest’affannoso confronto col proprio “Doppelganger”, che poi è il titolo della prima traccia. Fin da subito si riconosce la matrice industrial del suono, i ritmi percussivi “sporchi”, fitti ed ossessivi. Giuoco mette la propria voce, che dà forma a frammenti di frase, parole sparse che avvolgono chi ascolta, tra le stratificazioni di rumore. Tacerà fino alla fine del disco. La scuola Aphex Twin si sente, nei giochi di drum beat in “Twisting Fog”, con crescendo e decrescendo di impulsi noise. Nella “Charade for two” i battiti sono affiancati da uno schizofrenico arpeggio synth, senza percepire stacchi, siamo già immersi nella successiva “Some minutes with the hypnotist”. Ipnotizzati raggiungiamo “Fossil twin”, il culmine della narrazione astratta, tradotto in suoni da un minaccioso pianoforte, sempre inserito fra le intelaiature percussive. Per “Archetipe”, si invertono i suoni di un piano elettrico, un Wurlitzer deformato. In questo caso il beat si è interrotto, i suoni son lasciati tranquilli. Si riparte con l’allarmante “The left side of the things”, dove beat e arpeggi sono tutti intenti a non lasciarti calmo, come nella nebbia di Silent Hill. Continuando a scrutare l’archetipo del doppio, entriamo nel giardino di Giano Bifronte, con “Double-faced Janus (in the garden of)”. Un’elettronica più ambientale, un rilassante gazebo dove meditare sulla propria doppiezza. Forse questo fantasma che poi siamo sempre noi, fa meno paura qui, poiché ci rendiamo conto che è stato decodificato già dagli antichi, con questo simbolo di Giano. Dobbiamo solo farci i conti ed accettarlo. A parole è facile, la teoria basta studiarla. Ma nella pratica, siamo sempre ostili a smascherarci. Finché l’ospite si palesa: “He’s here” rialza la tensione, con un fondo lugubre, percussioni martellanti ma solo fino a metà, per lasciarci in questo fondo sonoro lynchiano, statico ed interrogativo. Laura Dern ci fissa dall’Inland Empire. I nove minuti finali portano il titolo dell’album, “Double Spectral Image”, aperti da un loop di suoni d’archi sintetici disturbanti, e poi si avvia una batteria elettronica distorta à la Nine Inch Nails. E torna la voce di Giuoco, che avevamo sentito solo all’inizio, per sussurrare altre frasi su “The other one”, scandendo le parole con molte altre parole, per dare il tempo di assorbirne il significato psicologico, facendoci roteare nella giostra convulsa. Ci lascia con una laconica frase: “He’s here, but not here”. All’ascoltatrice/tore scoprire il proprio lato sconosciuto, presente ed assente. (Gilberto Ongaro)