SCHNEIDER TM  "The 8 of space"
   (2021 )

Lontano dalle sperimentazioni anche smaccatamente avant del passato più o meno recente, Dirk Dresselhaus, in arte Schneider TM, classe 1970, alfiere tedesco dell’elettronica, compositore prolifico ed instancabile, prosegue nel suo ondivago percorso con le otto tracce di “The 8 of space” su etichetta Editions Mego.

Nell’arco di una carriera che copre oramai un quarto di secolo, Dirk ha saputo spaziare tra drone music, suggestioni noise, improvvisazione freeform, musica per cinema e teatro, mai rinunciando ad incursioni in territori più vicini al pop, plasmando forme e suoni in fogge sempre mutevoli ed imprevedibili.

Accostando strumenti acustici ed elettrici alle consuete pulsioni digitali, realizza una fusione che modifica, trasforma, intreccia e rimodella la materia sonora veicolando testi funzionali a descrivere il microcosmo distopico concepito.

Un fluido, cangiante flusso di arte varia mai spocchiosa né eccessivamente concettuale, anzi inclusiva ed invogliante, favorisce l’ascolto aprendo spazi inattesi, definendo un lavoro polivalente edificato sì su strati di minimalismo e modularità, ma disponibile a scendere a patti con elementi tipici della canzone vera e propria.

Senza snaturarsi né azzardare oltre il lecito, resta fedele a sé stesso districandosi con l’abituale nonchalance tra le dilatate spirali psych/ambient di “Light & grace” in apertura ed il beat algido ma incalzante della title-track, finto blues stravolto all’improbabile crocevia tra Dan Sartain e Lou Reed (sic!); si insinua sibillino tra le raggelanti punteggiature à la Lucrecia Dalt degli otto minuti di “Asymmetrische kryptographie”, gioca con gli effetti sulla voce in “Oh life”, regala suggestive pulsioni di glitch-music trascendente nella buia atmosfera à la Pauline Anna Strom di “Spiral”, lascia al vocoder il compito di stravolgere la EBM leggera di “iBot (with a soul)”.

E’ il preludio al gran finale, concesso prima alla quiete trasognata di una “Lunar eclipse” che lievita su esili pattern melodici appena screziati da tenui dissonanze e da un crescendo impercettibile, quindi alla dance truccata di una “The trip (is the goal)”, la cui freddezza post-kraftwerkiana è stemperata da un cantato indolente che ricorda perfino certe cose di Beck.

Album accondiscendente pur nella sua incrollabile coerenza stilistica, “The 8 of space” traccia una via sperimentale e futuribile al pop, un tragitto alternativo per arrivare magari allo stesso risultato, ma molti passi più in là. (Manuel Maverna)