RAY WILSON  "The weigth of man"
   (2021 )

Nonostante l’imprevista defezione dell’amico che doveva essere con me nella XII fila del Palaeur di Roma per una delle tre date italiane del Calling all Station tour dei Genesis (1998), decisi di partire da solo per l’Urbe. Troppo forte era la voglia di rivedere a distanza di molti anni (1982, Tirrenia - Pisa) uno dei gruppi icona del rock progressivo, rimasto con solo due membri originari (Tony Banks e Mike Rutherford) dopo la dipartita di Phil Collins, sostituito da un giovane vocalist di Edimburgo allora sconosciuto alla progressive rock comunity e che, forse anche per questo, faceva storcere la bocca ai genesisiani più tradizionalisti (molti dei quali, giova ricordarlo, non hanno mai digerito l’avvicendamento al microfono fra Peter Gabriel e Phil Collins nel lontano 1975) e sollevava pregiudizievoli perplessità in una certa critica musicale à la page. Riconoscendomi nei salmoni, pesci che nuotano controcorrente, in autonomia, e non nelle sardine (pesci di branco che si fanno trascinare dalla corrente dominante), ho salutato questo nuovo corso con curiosità ed entusiasmo, senza passatismi di sorta. Peraltro, avevo apprezzato fin dai primi ascolti Calling all station, trovandolo un album molto ben fatto, innovativo ed ispirato, che sanciva un ritorno al prog rispetto alle ultime uscite discografiche targate Collins, impeccabili sul piano professionale ma per i miei schizzinosi gusti eccessivamente pop-oriented.

Approdato alla corte dei Genesis dopo l’esordio a 25 anni con i Guaranteed Pure e la militanza musicale con gli Stiltstkin (post-grunge rock), band che in realtà non ha mai abbandonato e con cui si è riproposto dopo la parentesi Genesis, Ray Wilson si distingue per uno stile vocale di straordinaria espressività basato su un inconfondibile groove malinconico che personalmente adoro. Non deve essere certo stato facile scrollarsi di dosso la ingombrante eredità dei Genesis e del loro scioglimento, avvenuto a breve distanza dal disco e in seguito ai problemi riscontrati nel tour nordamericano del 1997 (annullato per la carente vendita di biglietti). Ray è riuscito alla grande nell’impresa, dando inizio dal 2002 a una carriera solista costellata da un’ampia produzione discografica (diciannove dischi) costantemente accompagnata da un incessante serie di concerti.

Ho avuto la fortuna di incontrarlo in occasione di alcuni concerti toscani con la sua band e di apprezzare, accanto alle immense doti di cantante, compositore e musicista, un atteggiamento introverso unito ad uno stile comunicativo raffinato e verace, ben lontano da quella altezzosità tipica delle rock star farlocche confezionate ad arte dai padroni del discorso musicale. Del resto, le nullità artistiche costruite a tavolino che ci “sommergono di immondizie musicali” (riprendo il Maestro Battiato, Bandiera Bianca, da La voce del Padrone, EMI Italiana, 1981) sono costrette a barcamenarsi per inventare (o per farsi dettare) un sensazionalismo sempre più “trasgressivo” (rispetto a cosa? Cosa c’è di più trasgressivo nella attuale società liquida post-moderna dei valori della tradizione?) per restare a galla. Chiusa parentesi. In The Weigth of Man che ho (autografato) sulla mia scrivania, ritroviamo tutti gli elementi di continuità con i dischi precedenti ed un ulteriore salto di qualità nella produzione e nella ricercatezza dei suoni che vanno a formare una variegata gamma di atmosfere in chiaroscuro, deliziosamente crepuscolari, congruenti con il momento che stiamo vivendo. Il songwriting funziona alla perfezione: le dimensioni acustiche ed elettroniche sono magistralmente bilanciate per dare il massimo risalto alla imponente vocalità di Ray che riesce a coinvolgerci senza troppi arzigogoli tecnici, con quel calore e quella immediatezza comunicativa che esprime sul palco, con la band o in compagnia della sua chitarra, nel suo repertorio come nelle eccellenti rivisitazioni (anche con orchestra) del repertorio Genesis.

You Could Have Been Someone, Mother Earth, We Knew the Truth Once, I, Like You, Amelia, The Weight of Man, The Last Laugh, Almost Famous, Symptomatic, Could Like Stone e Golden Slumbers, quasi tutti abbinati a video ufficiali presenti in rete, rappresentano i singoli tasselli di un variegato mosaico musicale e figurativo (molto curato, come sempre, l’artwork) in grado di toccare le più profonde corde emozionali. The Weight of Man è ennesima dimostrazione che per far vibrare queste corde non è necessario prostrarsi di fronte al perfezionismo tecnologico, né diventare giacobini della rivoluzione digitale. Almeno fino a quando il sistema nervoso di Homo sapiens non verrà interamente sostituito dai microchip al silicio made in Silicon Valley, la Mus(ic)a dovrà attingere a quelle preziose fonti di umanità note fin dai tempi più antichi: creatività, talento, ispirazione, capacità comunicativa, motivazione, costanza di esercizio. E statene certi che il nostro Ray ne ha da vendere: buon ascolto! (MauroProg)