AQUASERGE  "The possibility of a new work for Aquaserge"
   (2021 )

Con gli Aquaserge la faccenda è sempre piuttosto complicata.

Ne parlammo un paio d’anni orsono a proposito del maestoso “Déjà-vous?”, sottolineandone l’appartenenza a molti mondi differenti, aventi in comune un piacere più che evidente per la sperimentazione e la contaminazione. L’area all’interno della quale l’ensemble di nove elementi si muove sinuoso e disinvolto è sempre quella della musica colta: ascendenze che vanno dal jazz alla contemporanea passando per suggestioni cinematografiche, neoclassicismo in salsa avant, echi di Canterbury e schegge di kraut-rock decostruito ad arte si fondono in un magma sonoro tanto complesso ed elitario quanto a tratti sorprendentemente godibile, seppure plasmato in forme di non semplice assimilazione.

Per l’etichetta belga Crammed Discs esce “The possibility of a new work for Aquaserge”, album che fa parte della collana Made To Measure, varata nel 1984 ed interamente incentrata sull’opera di compositori contemporanei, da Hector Zazou a John Lurie, da Daniel Schell a Benjamin Lew: questo firmato dagli Aquaserge è il vol. 46 della storica serie, rinata a pieno regime nel 2021 dopo essere rimasta dormiente per lungo tempo.

I trentotto minuti dell’album rappresentano un tributo devoto e peculiare a quattro numi tutelari del milieu che si propongono di omaggiare per l’occasione: Edgar Varèse, Giacinto Scelsi, Morton Feldman e György Ligeti. A ciascuno di essi si sono ispirati per realizzare brani originali concepiti ponendo al centro di ognuno gli elementi distintivi e caratterizzanti che tratteggiano l’opera dei singoli: in un gaudioso tripudio di dissonanze, modularità, variazioni timbriche e dilatazioni ipnotiche, impreziosito dall’interpretazione di alcune gemme rare e preziose (tre vere e proprie canzoni, scritte da Varèse su una poesia di Verlaine e da Feldman su un testo di Rilke), va in scena un lavoro sicuramente meno godibile e più cerebrale rispetto ai precedenti, spinto ben oltre la soglia della comune fruibilità.

In cotanto sfoggio di complessa brillantezza restano per i mortali l’opener in tempo dispari di “Un grand sommeil noir” (Varèse meets Verlaine, come si diceva), contrappuntato dall’alternanza vocale maschile/femminile su un’aria cangiante e ondivaga, oppure gli echi ubriacanti - tra prog e Stravinsky - di “1768 C (à Edgar Varèse)”, o ancora l’incipit nervoso di una “Comme des carrés de Feldman” che richiama addirittura, seppure in lontananza, strutture prossime a vestigia di stralunato post-rock.

Questi sono gli Aquaserge, con il loro bagaglio infinito di arte concettuale e musica per idee convogliati in un percorso ripido e accidentato: la salita è sempre ardua, ma vale la fatica. (Manuel Maverna)