HELEN ARIA  "Afrodisiaco"
   (2021 )

Rimugino in questi giorni in cui fuori ci si prepara al Natale e alla resistenza antivirale su alcune verità e alcune suggestioni. Sono dieci anni che Tom Waits non esce con un disco di inediti, ci si consolerà vedendolo al cinema nei panni di un regista in "Licorice Pizza" con Cooper, il figlio del grande Philip Seymour Hoffman nel nuovo film ambientato nei mitici seventies firmato dal geniale regista di "Magnolia" Paul Thomas Anderson.

Nell'attesa, è vero, ci si annoia un po', e oltre ai classici di quegli stessi anni da riordinare - ebbene sì, mi sono regalato il "Koln concert" di Jarrett in Sacd edizione giapponese - rispolvero perfino il post triphop degli Alpha, quelli di "The impossible thrill" con il gatto in copertina e i vocalizzi di Wendy Stubbs ed Helen White.

Tanto per rimanere in tema di voci femminili che restano nel cuore e nella memoria, certo ti rendi conto anno dopo anno che un intero album di Adele, al netto della sua presenza mediatica, non vale una singola hit di Alf ossia Alison Moyet, con o senza gli Yazoo degli esordi di 40 anni fa.

L'annata in fase terminale ci ha regalato intanto alcune conferme per la musica al femminile italica (all'interno di un panorama di noia sconfortante). Penso alla tosta romana Margherita Vicario, già vista come attrice nella serie web "Kubrick" e nei "Cesaroni" e ormai maturo personaggio musicale, energica e ironica.

Music Map mi manda il nuovo album di un'altra piacevole conferma che canta, oltre che nella lingua di Dante, anche in quella di Baudelaire e in quella di Shakespeare (Battiato docet) e sfugge alle definizioni di maniera, sospesa com'è tra sogno e realtà, tra dinamismo e sorniona contemplazione, un'artista che ha il nome di un elemento primario e lo trasfonde chiaramente nella sua musica che cresce e va senz'altro seguita con attenzione - oltre ad essere maga polistrumentista anche alle prese con la tecnica dei loop, vedere Youtube per credere.

Lei si chiama Helen Aria - all'anagrafe fa Eleonora Iamonte, classe 1998 - ed è orgogliosamente e meritoriamente fuori dagli standard e degli schematismi che rischiano di imprigionare la sua generazione come rivendica e sostiene con perentorietà in "Deneb".

Vediamo di classificarla, ma alla fine siamo entomologi della domenica, e lo scarabeo multicolore se la zampetta amabilmente sul tavolo operatorio, scappa e si immerge in una foresta di fantasie sonore, sfuggendo a ogni definizione come peraltro fa ogni vero artista.

Vediamo: Johanna Newsom? Pervenuta. Katy Perry? No dai, non scherziamo. Giusto un pizzico, un'idea. Bjork? PJ Harvey? U2? Sfumature alla Kula Shaker, a loro volta ispirati da Beatles e Pink Floyd? La Tori Amos degli esordi? Il sommelier deve arrendersi di fronte allo sguardo da elfo della bionda valdostana per cogliere nei suoni che propone screziature e sfumature.

D'accordo, la vorresti alle prese con una cover di Beth Orton come prova del nove, magari dall'album del 2006, quello di "Conceived", ma intanto non puoi esimerti dallo scrivere sulla pagella un bel voto, un 9 no ma un 8 pieno, dannazione, sì.

E si capisce che queste di Helen sono canzoni nate dal piacere di fare musica e fare ricerca, di sperimentare (si parla non a caso di avanguardie artistiche come il surrealismo che pescò a manbassa nell'inconscio), e sperimentare anche con la massima libertà linguaggi diversi (francese, italiano, inglese) e combinare suoni in un gioco di sinestesie e di sfumature condotto sempre con garbo e inventiva e muliebre sapienza, fatto di echi e riminiscenze (la psichedelia, la tradizione classica) - tutti elementi figli di una passione per lo studio e l'approfondimento innegabile ed esemplare - che ha anche un contenuto etico: invitare alla pacificazione degli animi in un'epoca di folli conflitti, alla resilienza come usa dire oggi, con messaggi positivi in questa fase quanto mai salutari (bello il talismano ironico anticovid di "Achoo", viene in mente un celebre e iconico dipinto di Banksy).

Che lo ascoltiate in penombra o in pieno sole, a finestra spalancata di fronte a una collina autunnale o nel chiuso di un ripostiglio tra i peluches dell'infanzia e le lucine di Natale, ecco un album che conquista ascolto dopo ascolto, e che merita di esser regalato all'amato bene (quando uscirà fisico magari in vinile?), grazie a un sistema che unisce testi e musiche in ad arrangiamenti sontuosi che sono anche un omaggio agli anni Settanta. Gli stessi di "Licorice Pizza" tutto sommato.

Impossibile non innamorarsi di Helen Aria ascoltando vibrare tra violoncello, sonorità elettriche e acustiche la sua voce rivestita dai suoni confezionati dal fido produttore e arrangiatore Momo Riva, in brani come “Afrosidiaco” che dà il titolo alla raccolta, "La Sfinge" (la voce è davvero come canta la sua migliore arma), “Diamanti di Cuoio”, “Grandma’s Reading Glass”, “Mama Show Me Where 2 Go” e “Et Cetera”. Brani grazie ai quali questo piatto ricco e sostanzioso come la gastronomica valdostana si merita il nostro convinto chapeau. (Lorenzo Morandotti)