GUANO PADANO  "Back and forth"
   (2021 )

Se nemmeno una dose robusta di Jonathan Richman e dei suoi Modern Lovers d'annata riesce a guarirvi o almeno tamponare (verbo oggi in voga ovunque) la depressione che serpeggia e si insinua, ad esempio quella classica post festività natalizie o per l'imminente recessione economica planetaria, provate con il nuovo album dei Guano Apes. Ops, lapsus calami, volevo dire Guano Padano. Che, a parer di chi scrive, suonano incommensurabilmente meglio del numetal teutonico degli Apes (archetipi degli ampiamente sopravvalutati Maneskin), e richiederebbero pertanto doti recensorie di ben altro lignaggio.

I Padano sono una sorta di bignami sonoro del miglior cinema da sogno - Wenders, Leone, Jarmush, una spruzzata di Tom Waits non guasta ma senza strafare - e qua e là traspare anche una versione rallentata e derocchizzata dei migliori Litfiba e Eagles ricondotti al netto di barrocchismi e cialtronerie alla loro anima folk country e blues.

Ma dir così, procedere per suggestioni poco filologiche, sarebbe solo scalfire la superficie di un prisma sonoro che ti entra dento ascolto dopo ascolto, penetra nei vasi e nei tegumenti e che va assaporato lentamente, e che riesce a parlare al cuore, se non di tutti, di molti, non è affatto musica colta o di ricerca ma la musica di cui abbiamo bisogno oggi, per sperare e andare avanti.

Solo quattro brani, mannaggia, in questo disco, e vorresti ce ne fossero quaranta o quattrocento per quanto ti esaltano ed esultano, e ti fanno volare e viaggiare, pur restando fermo. A ben vedere (e ascoltare) il modo migliore per salutare il 2022 che festeggerà il centenario della nascita di Jack Kerouac, questo ep, sperando che di dischi di tale levatura, dove la raffinatezza produttiva sembra sgorgare spontanea e naturale come acqua limpida e incontaminata da una sorgente di alta quota, ne escano ancora e ancora.

Alessandro Stefana (voce, chitarra), Zeno de Rossi (batteria) e Danilo Gallo (basso) questa volta alzano l'asticella della bellezza: il tutto è arricchito da una presenza leggendaria, autorevole, che altri si sognerebbero e qui arriva appunto come bella realtà "bio" e non coltivata in vitro come i duetti di sir Elton John. Sto parlando del mitico Bill Frisell con la sua chitarra, uno dei motivi (sempre meno ne trovi in circolazione) per credere nell'esistenza di Dio, che si è messo in sintonia con il loro "cinema per le orecchie" dopo una fruttuosa collaborazione.

L'ep dei Guano Padano si intitola "Back and Forth", avanti e indietro, e vede come ospite fisso in tutt'e quattro le tracce del disco il cantante e strumentista di molti strumenti Sam Amidon, famiglia d'artisti e americano del Vermont. Apre il disco un brano di Paul Motian, mai inciso dall'autore. S'intitola "Prairie avenue cowboy", che vale da solo il viaggio, ed è poi seguito da "Cereno", ispirato al lungo racconto di Herman Melville "Benito Cereno" che il suo traduttore Cesare Pavese aveva definito "perfettissimo".

Per analogia subliminale di atmosfera - ed epico coinvolgimento - vengono in mente le parole e i suoni di "Wooden Ship" dei Jefferson Airplane (cover mirabile di un brano di Crosby, Stills & Nash), mentre "Short life" è una ballata densa, insieme nutriente e struggente, tra acustico ed elettrico, orchestrata al punto giusto per farvi innamorare di questi suoni e non farveli scordare.

Non è un disco da dimentare sullo scaffale o nell'hard disk ma da far conoscere, divulgare. Invidio chi non lo conosce ancora. Chiude il disco la lunga suite che unisce tre pezzi, "Un occhio verso Tokyo", "Jack Frost" e "Sugar baby", altro viaggio a ritroso e in avanti (la cultura è fatta di tradizione e sguardo al futuro) nel tempo e nello spazio, immaginando un tour sonoro tra Giappone, Artico e Appalachi, ma senza mai muoversi da uno studio di Brescia. Come Salgari immaginava nella sua Torino i mondi avventurosi di Mompracem, e Sergio Leone il suo polveroso e musicale West made in Cinecittà. Suoni scarni, essenziali come un fumetto galeppiniano, che sono subito mito, storia, instant classic, chiamateli come vi pare.

Insomma, voto 10 e lode senza riserve. La colonna sonora ideale per la cameretta che avete attorno o tra le cuffie nella testa, per l'ascensore e la macchina, per stirare o far le pulizie con l'adeguata precisione e lentezza e anche per condividere emozioni e carezze con l'amato bene senza che vi rovini la giornata l'ansia da prestazione (altrimenti provate con "The look of love" cantata da Diana Krall, questione di gusti). Insomma questo disco dei Padano (finalmente si può usare a testa alta l'aggettivo in barba al leghismo che ammorba da trent'anni) è oro, anzi platino e diamante, bello e disarmante, altro che guano.

Come finire al meglio un anno che fu per molti di merda (tranne i soliti ricchi che sono sempre più tali spremendo pianeta e abitanti come limoni) e iniziarne un altro con i migliori auspici almeno sul fronte musicale. E non è affatto poco. Non posso dire che sia il migliore disco del 2021 perché non è che li abbia ascoltati proprio tutti, ma come diceva quel tale del basket che propagandava il tè in tv, per me "numero uno". L'amuchina sonora ideale per spazzar via le tonnellate di inutilizzabile spazzatura musicale che ci ammorba le orecchie via radio e web. Nella consapevolezza che dai diamanti non nasce niente, disse quell'arguto tale, ma dal letame crescono i fiori. Se ci sarà un tour sarò, mascherato alla bisogna, in prima fila ad applaudirli e a stappare idealmente con loro il vino dell'amicizia. (Lorenzo Morandotti)