CECILIA::EYES  "Sore memories always end"
   (2022 )

Oggi un quartetto, i Cecilia::Eyes sono una band belga nata nel 2004 e giunta con “Sore memories always end” al quarto album di inediti in carriera.

Con immutata classe ed eleganza, sciorinano in ben settantacinque minuti l’intero campionario di trucchi e stilemi che ne costituiscono da sempre il marchio di fabbrica: gravitano scopertamente in zona dream-pop, shoegaze, post-rock di seconda generazione dagli ultimi Talk Talk in poi, ma soprattutto si aggirano con convinzione dalle parti dello slowcore che rese grandi i Red House Painters di Mark Kozelek verso la metà degli anni novanta (emblematico l’arrancare svenevole di “Empty rails”, quasi una outtake del periodo Rollercoaster).

A conferma di ciò, la scrittura è solo di rado incline a sfruttare il classico movimento in crescendo del post-rock (la conclusiva “The air bride”, ma quasi con poca convinzione): voce in secondo piano come si conviene, accordature aperte, ritmi rallentati, delicate atmosfere che digradano dolcemente verso una carezzevole catatonia disegnano invece il perimetro di un album docilmente etereo, più Explosions In The Sky che Mogwai, più My Bloody Valentine che GY!BE.

Intendiamoci: nelle dieci lunghe tracce che danno forma all’album – nessuna sta sotto i cinque minuti, la metà vanno ben oltre i sette – la band non fa nulla di nuovo o di sconvolgente, ma lo fa bene. Sontuosamente, a tratti. Sia quando scelgono di cantare, sia laddove prediligono trame solo strumentali (“Twin mountains”, “Russian tales”), i quattro si affidano a quel misto di tremante malinconia e sottile afflizione che tanto calza al genere, ricamando diafane tessiture dilatate e trasognate, appena screziate da una timida, sporadica aggressività (“Promises of rain”).

Lavoro cesellato con grazia e maestria, ammirevole per costanza e coerenza, va assaporato nella sua interezza, svelando alla distanza tutto il suo spessore. (Manuel Maverna)