BARABBA  "Primo tempo"
   (2022 )

Cos'è l'alt-rock? Un modo di pensare? Una filosofia musicale? Un ricercato snobismo progettuale? Trovare una risposta sarebbe limitativo, poiché è una matrice che racchiude un mondo comunque interessante.

E chi ce l'ha nel sangue da 20 anni come il trio marchigiano dei Barabba, rende la formula ancor più accattivante, plasmata attraverso la militanza in vari combo come Lebowski, Kaouenn, Guinea Pig, Butcher Mind Collapse e cosi via.

Per esordire col nuovo nome Barabba ci proiettano il "Primo tempo" di un film sonoro di sei pezzi ad ampio raggio stilistico, in una sorta di soundtrack dal beat urban nudo e crudo, ma ricco di pathos immaginifico.

La cupezza asettica di "Un altro" introduce la sestina prevista, poggiando sul desiderio tematico di interrogarsi sul proprio essere per provare a guardarsi sotto l'ottica di altri occhi e constatare in quanti rimangano dispiaciuti della propria morte.

Invece, "Bastare a me stesso" veleggia con downtempo a due voci: quella di Serena Abrami fusa con quella di Paco Sangrada, e l'intreccio funziona con incedere pulsante in una narrazione che contrappone due modi di vedere l'amore, mentre ottenebrazione e aere spiritica sfilano nel cosmo di "Momo", alias Barabba stesso che fa di tutto per non riconoscersi. Ma l'impossibilità di distaccarsi da concetti inafferrabili, lo imprigionano in quell'inutile fuga da sé stesso.

La singer Caterina Trocchia presenzia l'impatto asfittico di "L'ultima mano" con andazzo semi-liturgico, che trasuda d'onirica riflessione su come le complicanze di vita possano, finanche, forgiarci in qualcosa d'inconsapevole solitudine che abbatte la speranza senza appello.

Brividi dark scorrono sulla pelle di "Quei due", turbata dalla mole di imbarazzo che serpeggia tra due ex amanti, ma è la parte maschile che paga il prezzo maggiore del distacco.

L'humus ferale di "Bianco Natale" lancia i titoli di coda sull'ennesima illusione vissuta dall'ipotetico protagonista, incentrata sulla ipocrisia di una festa tanto attesa quanto scomoda, i cui doni non sono altro che inutile forza oggettistica a perdere.

Tutto questo è "Primo tempo", tutto questo è il raccontar distaccato ed illusorio dei Barabba, formidabile collettivo che non è malato di protagonismo, bensì la loro scrittura tende sempre ad osservare con la fantasia di occhi altrui, per constatarne cause ed effetti: insomma, un mettersi nei panni altrui per arricchire la visione d'intenti.

E' ciò che (forse) servirebbe ad ognuno di noi, che indossiamo spesso l'ingannevole paraocchi delle intransigenti convinzioni personali. (Max Casali)