GOAD  "La belle dame"
   (2022 )

Il 1975 può essere ritenuto il guado spartiacque fra due mondi culturali ed artistici diversi e per molti aspetti contrapposti in seno allo stesso decennio. Il primo periodo, erede delle atmosfere woodstockiane dove si “sognava l’isola di White”, immaginifico, onirico, psichedelico, caratterizzato da una debordante creatività forse irripetibile, ritenendo (illudendosi) che la musica potesse cambiare il mondo, e il secondo, dove l’aria si faceva sempre più pesante, gravata da quelle estreme polarizzazioni sociali e politiche che in Italia hanno portato al vicolo cieco della violenza, con i drammatici esiti che ben conosciamo (i cosiddetti “anni di piombo”), mentre la rabbia iconoclasta del punk e la febbre del sabato sera bussavano alle porte inaugurando il “decennio del riflusso”. “Il prog è morto”, era lo slogan ricorrente di allora rivelatosi infondato (ars longa vita brevis, sentenziava Ippocrate di Kos!), come mostrerà il suo pronto rientro in grande stile a partire dai tardi Ottanta, vivificato dall’incontro con le componenti più tecniche del metallo. Il resto è storia.

Comunque lo si veda (e passiamo la palla ai sociologi) il decennio seventies, soprattutto i suoi primi anni con i relativi simboli e l’inconfondibile sound, è stato ed è tuttora una inesauribile fonte di ispirazione per innumerevoli formazioni musicali ed artisti di tutto il mondo. In questa variegata galassia ritroviamo i Goad, band fiorentina nata proprio in quegli anni (1974) ad opera del polistrumentista e cantante Maurilio Rossi seguito dal chitarrista Gianni Rossi, che vanta una significativa attività dal vivo ed una ricca discografia (9 album) corredata da musica per teatro e cinema. Al netto dei fisiologici avvicendamenti di formazione e della specificità di ciascuna produzione discografica, i Goad sono caratterizzati da uno stile marcatamente vintage spesso abbinato a temi poetico-letteraria a venature “dark” (E.A. Poe, Lovecraft, E. Lee Masters, Landor, Keats).

La belle dame, uscito a tre anni di distanza da Landor (2018), si mantiene sulla linea dei precedenti lavori, evidenziando raffinate sfaccettature sinfoniche che riportano a sonorità gotiche in cui ben si inserisce la ruvida e tormentata voce del leader Maurilio Rossi, che nei brani più oscuri interpreta intense note angosciose. Il disco è composto da 14 brani, tre dei quali suddivisi in più parti: il tutto riconducibile ad una vena progressiva cupa che viaggia nelle tenebre acustiche regalando sensazioni ad alta carica emotiva. Disco di non facile approccio, ricco di sfumature che richiedono più ascolti per poterlo assimilare al meglio ed apprezzarne così la sua pienezza espressiva: intenso ed affascinante. (MauroProg&AlbeSound)