PINK FLOYD  "Wish you were here"
   (1975 )

“Wish You Were Here” arriva a distanza di due anni da “Dark Side Of The Moon”, un lasso di tempo che non era mai intercorso tra le precedenti produzioni dei Pink Floyd. Può sembrare un aspetto marginale, ma nasconde in realtà la chiave di lettura di tutti i dischi del gruppo a partire dal 1975. L’incredibile successo di “Dark Side” ha mutato radicalmente l’atteggiamento della band, andando ad eliminare lo stakanovismo del primo periodo, in favore di una produzione molto meno assidua e anche più presuntuosa. Ormai i quattro si stimano fin troppo, sanno (a ragione) di essere dei fuoriclasse e di potersi permettere tutto. O quasi. La naturale conseguenza di ciò sono i lunghi ed inutili minuti iniziali di “Shine On You Crazy Diamond”, brano soporifero quanto erroneamente esaltato. Certo, il fraseggio di chitarra di Gilmour affascina non poco, ma tutto ruota intorno ad esso, senza arricchire molto il brano, che in venticinque minuti annoia abbastanza. Si salva l’assolo di sax che conclude la prima parte. Siamo lontanissimi dai livelli eccellenti di “Echoes” e “Atom Heart Mother”. Il canto si gingilla in una melodia banale e l’emozione nostalgica che il gruppo voleva evocare si trasforma in una sfilata sonnacchiosa di buoni sentimenti. Certo, all’ascoltatore medio i ricami di chitarra di Gilmour piaceranno molto, questo non lo nego, ma siamo di fronte ad un enorme passo indietro dal punto di vista strutturale. Per il resto, ci possiamo consolare con la danza dronica di “Welcome To The Machine”, forse unico momento di sperimentazione e vero trip psichedelico dai suoni sintetici. Il tema melodico non è poi nemmeno così bello, ma in questo disco appare proprio come un capolavoro. “Have A Cigar” accentua i toni surreali, ed è un buon risultato, una sorta di prolungamento del suono rock-sintetico del disco del ‘73. Il vero capolavoro del disco è però la title track, una ballata superba, che supera di gran lunga tutti gli altri brani. La semplicità della chitarra folk è pura genialità, la melodia è una di quelle che non si scordano. È un delicato rimpianto nei confronti di Syd Barrett e suona molto più credibile e sincero di “Shine On You Crazy Diamond”. Questo è uno di quei brani che si divincola da ogni genere musicale, da ogni coerenza di stile, per consegnarci una gemma di bellezza pura ed incontaminata. Per “Wish You Were Here” si può fare lo stesso discorso di “Meddle”. La qualità non manca, le canzoni sono godibili, ma si sente che il gruppo non si sforza più di tanto. Si ha una sorta di diluizione dei veri capolavori che, se nel primo periodo erano “The Piper” e “A Saucerful Of Secrets”, in questa seconda parte della carriera è “Dark Side Of The Moon”, del quale il disco preso in considerazione è una furba imitazione. Gli stessi suoni sintetici, la stessa immediatezza melodica, ma manca la consequenzialità del disco precedente, manca la coesione di suoni ed anche le trame sonore si fanno meno interessanti. Semplicemente, cambia il sentimento dominante, si passa dall’alienazione alla nostalgia, ma il contenuto strettamente musicale non varia affatto. Un disco come questo era facilissimo da comporre per un gruppo colossale come i Pink Floyd e non credo che in due anni non abbiano avuto il tempo di scrivere qualcosa di più variegato ed interessante. Semplicemente, “Wish You Were Here” è un disco studiato per piacere, un disco che ricicla le idee del passato sotto nuove vesti. Bello sì, ma molto meno valido di quanto si dica. (Fabio Busi)