MY BLOODY VALENTINE  "Loveless"
   (1991 )

Se “Isn’t Anything” era un ottimo disco fatto di geniali intuizioni, splendide canzoni ed influenze variegate, “Loveless” è la sublimazione di tutto questo e molto di più. Tecnicamente, l’introduzione di strumenti tecnologici favorisce uno sviluppo del volume di suono ancora maggiore. D’altra parte, i My Bloody Valentine si dimostrano qui incisivi come pochi altri gruppi nella storia. Siamo di fronte ad un codice espressivo del tutto nuovo, che si affranca definitivamente dagli esempi del passato. Se prima le direttive del gruppo erano il post punk e la psichedelia, ora è impossibile fare distinzioni significative. Queste 11 canzoni sono un’ininterrotta esplorazione del suono, nella quale i muri di chitarre grezze sovrastano ogni altra cosa ed impongono una visione acida della realtà. Shoegaze, appunto. “Fissare le scarpe”, quindi stare chini, attenti solamente a suonare la propria chitarra con più feedback possibili, senza preoccuparsi troppo dei contorni. Questo disco è proprio questo, un enorme accumularsi di distorsioni, unite all’urgenza melodica tipicamente inglese e ad un reticolato elettronico inedito fino ad ora. “Only Shallow”, la prima traccia, mette subito le cose in chiaro. Un turbinio di chitarre ed effetti elettronici nel quale si innesta poi la dolcezza dream del canto. La formula è subito chiara e perfetta. Le bordate sonore sono ancora più incisive che in passato, le melodie più accattivanti. “Loomer” è un crepuscolo elettronico; una fiamma arde e brucia l’aria, mentre la neve cade leggera. “To Here Knows When” unisce il candore tipico del dream pop ad un’asprezza di suoni estrema. La melodia si intravede soltanto; è la sublimazione del caos, vero protagonista del disco, che si espande progressivamente e ci abbandona in una sorta di labirinto. Sentendo “When You Sleep” ci si dimentica di tutte le melodie limpide del disco precedente, tanto è perfetta ed integrata nel contesto musicale questa. Infatti, spesso ciò che più affascina di questo disco sono i ricami elettronici che si affiancano all’immensa mole di rumore. “I Only Said” è uno degli apici inarrivabili di tutti gli anni ’90 e dell’intera storia del rock. Una trascesi del piacere. Musica che fa fremere, provoca allucinazioni e scalda il cuore. L’intreccio di rumore ed elettronica raggiunge qui la perfezione; un semplice tema melodico scaturisce dal pulviscolo elettrico, librandosi nell’aere con la grazia di un’aquila ed insiste fino a frantumare le nostre percezioni, in un immersione nei meandri più reconditi della psiche, riecheggiati dal canto in lontananza, così tenue e sfuggente. Queste cinque canzoni esemplificano tutta l’arte del gruppo. 5 capolavori senza tempo, che ancora oggi suonano futuristici. Ma il disco continua e troviamo la suadente “Come In Alone”; purtroppo le parole sono finite. È un altro viaggio tra sogno e materialismo, in una fusione di poesia e catrame, a dir poco moderna. “Sometimes” riprende le sonorità della seconda traccia; nuvole noise oscurano il cielo. I richiami al dream pop si fanno evidenti in “Blown A Wish”, che allenta la tensione e la trasforma in ipnosi. “What You Want” è uno dei momenti più asciutti e scanditi. Il finale è affidato ai 7 minuti di “Soon” che protende già verso nuovi sviluppi, più vicini all’house che al rock, altra dimostrazione di quanto i My Bloody Valentine fossero immensi. Se il primo disco affascinava, “Loveless” stordisce con una potenza ed immediatezza inaudite. Qui c’è tutta l’essenza del rock. Violenza e purezza. Ipnosi e spontaneità. Un disco come questo getta le basi per gli sviluppi del rock, come della musica elettronica; ma anche la musica più popolare avrebbe potuto attingere a piene mani da qui. Il fallimento dello Shoegaze è tuttavia sotto gli occhi di tutti; forse le ambizioni del gruppo erano troppo elevate per poter essere comprese ed apprezzate da tutti. “Loveless” rimane quindi uno strepitoso e sterile balzo in avanti. La potenza innovatrice è stata tale da causare l’implosione del genere stesso. Ciò che ci rimane sono opere d’arte come questo disco. (Fabio Busi)