PIER ADDUCE  "La bottiglia blu"
   (2022 )

Come frequentemente ormai si afferma, la condizione vissuta in questi ultimi tempi da molti artisti che si sono trovati in maniera forzata a dover meditare su valori, progetti e concetti esistenziali, ha portato all’inevitabile concepimento di opere frutto di un lavoro spesso lontano da logiche di mercato. Una situazione inedita per la nostra ricca (o povera da una diversa prospettiva) società e che ha spiazzato più di qualcuno.

Pier Adduce, che a Milano ha fondato nel lontano 1999 i Guignol, band blues rock dalle inclinazioni punk, non poteva non “sfruttare” l’occasione per dire la sua e mettere il tutto in musica. Così tra il 2020 ed il 2021 ha preso forma ‘La Bottiglia Blu’, un disco intimo ed introverso, dove emerge l’oscurità che l’autore ha accumulato nell’anima, che prende forma tra storie annebbiate dalla solitudine e dall’angoscia provate esaminando esistenze malate.

Racconti dall’avvertibile disprezzo per una società impostata su individualismo, servilismo e che esalta la pseudo forza di pochi, lasciando all’angolo i “deboli”, i senza voce, ai quali spesso non resta altro che ribellarsi per salvaguardare almeno un pizzico di dignità.

‘La Bottiglia Blu’ potrebbe essere quindi quella che rimane sopra il tavolo di qualche bar di periferia, dopo una sbronza; oppure come vede il mondo un ribelle semplicemente osservandolo attraverso il vetro di quella bottiglia: un mondo blu, ovattato e deformato. Musicalmente sono concetti che inducono ad usare suoni che con la mediterraneità non hanno niente a che fare. Potrei citare la tradizione dei cantautori italiani, ma si avverte qualcosa di diverso, perché la vena oscura che pervade le liriche ha indubbiamente contaminato gli arrangiamenti e la scelta dei suoni stessi.

Alla fine ne è uscito una sorta di originale dark sound, magari influenzato da quanto fatto dopo tanti anni con i Guignol, ma impregnato di un efficace mix di rock, folk e rabbia punk, che riporta stilisticamente a sonorità storicamente radicate in terra d’Albione. È diventato tuttavia un linguaggio efficace per descrivere le sensazioni di disagio cantate da Pier Adduce.

A tratti l’elettricità sonora aumenta, forse perché nell’affrontare l’argomento trattato in ‘Canzone Del Teppista’, per esempio, il sangue nelle vene cominciava a pulsare. Da questo punto di vista, tutti i brani del disco sembrano disposti in maniera tale che sia percettibile un filo conduttore, perché in effetti si avverte una tensione in crescendo, quasi uno sfogo di chi si sente prigioniero, o perlomeno legato. Oppure di chi decide di scolarsi una bottiglia, pur essendo in quel momento sobrio dall’alcool ma pieno di rabbia. Man mano che la bottiglia si svuota le cose si invertono, senza prevedere quale delle due avrà il sopravvento.

Personalmente tendo ad identificarmi con il combat rock di ‘Canzone Del Teppista’, una canzone inquieta, un inno di chi vuole farsi sentire. Ma è anche vero che se si ascolta questo disco una volta sfilato l’orologio dal polso, seduti e magari sorseggiando con calma una bottiglia di vino rosso... (Mauro Furlan)