RADON SQUAD  "Hotel Colon"
   (2022 )

Credo sia un collettivo, ma ai Radon Squad non piace definirsi. Uscito per la Ribéss Records, il loro “Hotel Colon” è un disco intenzionalmente confuso, dove il conscious rap è sfuggente; si capisce che la provenienza delle parole è l'interiorità, comunicata senza filtri all'esterno. “Senza filtri” qui non è da intendere come “schietto e senza giri di parole”, bensì come flusso di coscienza che emerge, senza passare per l'aggiustamento sintattico, fatto razionalmente in un secondo momento.

Il flow dei brani è fatto spesso da loop glitchati, e “maltrattati”. In questo hotel c'è una oscurità costante, a partire dalla prima traccia introduttiva, che programmaticamente si chiama “Reception”. Qui, semplicemente, pronunciano a ripetizione il loro nome “Radon Squad”, con voce minacciosa. Basta già questo, se si tiene a mente cos'è il radon. Un gas nocivo per la salute umana. Tra parentesi, googlate “radon Monte Venda aeronautica”. Non so se i Radon Squad ne siano a conoscenza, provenendo da Roma, ma leggere il nome Radon Squad dalle mie parti euganee, fa ricordare questa vicenda scottante, e quindi suscita approvazione!

Ma entriamo nel vivo di questo hotel. Non si sa quanto la Squad stia sul serio o sul faceto, perché il titolo “Il guardiano della solitudine” è tratto da una carta Magic! Eppure, dalle (poche) parole che riesco a cogliere, c'è molta sofferenza: “Il dolore che pervade questo vecchio Paese (…) quale porta ci porta, porta a morte certa (…) suffumigi (…) la tua magia non funziona con me”. La musica è fatta di suoni oscuri e cigolare di porte. “Muri emotivi” crea un muro anche verso l'ascoltatore. C'è una psicanalisi in corso, ma tra amore finto e odio vero, arriva un: “Non riesci neanche ad aprire una mozzarella senza sbrodolare dappertutto, sei un impedito e io... ma già lo so, mi autosaboto”. Poi il focus trova un nemico: “Lo Stato percepito come un palo nell'ano, parla piano, non rischiamo che sentano ciò che diciamo! (…) e siamo solo uno strumento di lavoro in mano ad un bambino tossico”.

“Omae mo omae no ongaku daikiraiya”, in giapponese vuol dire “Odio profondamente te e la tua musica”, ma il testo verte su altre brutture, quelle giornalistiche: “Notizia del giorno, giovane disabile violentata (…) diranno se l'è cercata (…) mio padre mi ha detto che ho la faccia malandata (…) agito il pugno vuoto all'infinito”. Se ti senti disorientato, ti rassicura: “Lo che non capisci cosa dico”. Poi sentiamo citazioni dal film Netflix “Il buco” del 2019, un vero horror sociologico che consiglio a tutti. Le riflessioni sembrano dirigersi in una militanza, però senza la violenza estrema della P38. Ma ancora una volta il titolo “How to distruggere la società” è un falso amico, e il testo va in lande più profonde: “Si distrugge una società partendo dalle parole (…) l'orrido è una via di liberazione, più delle volte non c'è rapporto alcuno tra pensiero e azione”.

“Eternebra” è un brano dei TIR, che si definiscono duo paleo-antropotronico. Una musica elettronica oscura e apocalittica; i Radon Squad l'han presa come base per rapparci sopra a proposito di “melma mistica”, ma qui la mia comprensione si ferma, a parte sui “polmoni nero carbone”, evidenza di una realtà inquinata, sia letteralmente che metaforicamente. Paranoia kafkiana emerge in “Acari”, tra versi inspiegati e meme: “Rieccoti a bucare le zanzariere (…) nascondi il dolore, Harold”. Altre amenità si mischiano a presagi distopici in “Tutta roba provvisoria”: “Cerco il pelo nell'uovo, mi viene su il catarro mentre godo (…) questa quarantena, che sia il preludio di qualcosa più inaspettato?”.

Il disco si chiude con l'ultimo titolo a inganno: “Il pacifismo è una pia illusione [ovvero] trappole per cinghiali”. Beh, adesso sì che ci aspettiamo la P38, armi, Aldo Moro ecc. E invece: una base tagliata “male” (ma fatto apposta), traballante, con sopra dei vocali da cellulare, una voce romanesca con tono saputo (“Vuol dire che siete stati educati da gente tossicodipendente”), e... gemiti da hentai. Sì, non fate finta che non li conoscete, avete capito che acuti sono! Seh seh santarelli! Non so come concludere, se non citando Yotobi: “Non ho capito!”. (Gilberto Ongaro)