MASSIMO DONNO  "Lontano"
   (2022 )

Quarta uscita per il cantautore Massimo Donno, “Lontano” è un album ricco di parole e di musicisti. Se ne contano ben venti accanto a Donno, tra cantanti, quintetto d'archi, clarinetto, sax e flauto, balafon, organetto (fisarmonica), mandolino, basso e batteria. Questo ricco organico impreziosisce i testi, già di per sé densi, pur se costruiti su parole semplici, con una certa affinità a Guccini. Di lui infatti è presente una cover, “Primavera di Praga”, suonata assieme a Juan Carlos “Flaco” Biondini, storico chitarrista del cantautore di Pavana, in chiusura al disco.

Dopo un breve intro che anticipa la titletrack, “Lettere dal divano” apre l'album accogliendoci comodamente sul sofà: “Cadere in un quadro, cadere in un letto, cadere dove l'opinione è già chiamato fatto (…) tutti siamo nati e tutti scapperemo, l'incendio in questo mare non si spegnerà col vino (…) Lettere dal mio divano, lettere d'amore di sassi e foglie secche, lettere di rami, di legno d'artigiano, lettere di sangue, parole contromano”.

Ce ne sono in effetti, di parole contromano nelle canzoni. Ad esempio, le parole di coscienza di classe. Nonostante non sia la prerogativa di questo lavoro, in “Ormai”, compaiono versi come: “Versare le lacrime al banco dei pegni, esplorare le stelle, implorare un padrone”. Il brano, che porta nel titolo la parola cardine della rassegnazione, è inscritto nel segno del blues. La prerogativa, dicevo, è in strofe poetiche: “Ho sentito la voce del vento / che ha chiamato la pioggia a bagnarmi il dolore / tra le nuvole i ricci e un tappeto di foglie / si specchiava nel fondo del mare. / Nel bisbiglio dei tarli del soffitto di legno / ho trovato risposte gaudenti. / Mi colava il destino come il sangue dei gelsi / come l'acqua ai sentieri, alle fonti”.

Poi arriva la titletrack, anticipata dall'intro. “Lontano” parte così: “Ho lavorato alla mia attesa come un errore di carpenteria”. Il brano è suggestivo, insiste su un pedale armonico (lo stesso accordo prolungato), dove si gioca sulla ricchezza timbrica (tanti strumenti, tanti colori). Al contrario, in “Andiamo a dormire” ci sono molte progressioni delicate, e si alternano rime baciate ed incrociate: “Vorrei santificare il vizio / ed accettare anche il distacco / e realizzare che il tabacco / non fa più male del giudizio”. Torna qui e in “Liberi” il tema ricorrente della damigiana e della malinconia alcolica, caro anche a Guccini: “Ho bevuto la mia faccia, mi specchiavo nel bicchiere, con i gomiti al balcone ho assorbito (…) quando ridere è un dovere”. Il clarinettista è creativo, ad un certo punto emette dei curiosi fischi.

Il poliglotta Donno canta anche una lingua straniera in “Ci salveranno le stelle”, brano sognante dove le mie orecchie scoprono che basta un quintetto, a ricreare la sensazione di un'orchestra intera d'archi. Un ritmo invece più vivace, in levare, con l'organetto (fisarmonica), dà calore alle parole profonde de “L'attesa”: “La terra è il chiodo a cui si appende l'esistenza / la chiave senza porta alla pazienza”, e in coda arriva il caro mandolino. Ecco la classica canzone d'autore italiana, da suonare di sera nell'aia di un casale, tra luci e fieno. Ma la chitarra elettrica (pulita) si accende accanto al contrabbasso in “Corpi nudi”, mentre si cercano definizioni diverse dell'amore: “Inconscio distorto, è rigida nuca / è l'aspro sapor del passato”. Le giovani generazioni trovano il loro destino: “E noi siamo figli senza eredità / traditi dal tempo che tempo non ha / e il sangue che vibra tra la terra e le dita / corpi nudi in salita”.

“Vieni con me”, tra le tante, ci dona suggestioni geografiche: “Case di mezzogiorno, case di Toscana / coi fiori alle finestre esposte all'Appennino, ed alla tramontana”. L'undicesima traccia dell'album si chiama “Undici”, ma è la decima canzone (mi sa che l'intro è stato fatto per creare questa coincidenza eheh, stima). Questo è anche il pezzo con videoclip, tra le paure odierne e il bisogno (fino a poco tempo fa obbligo) di rinchiudersi in casa, anche quando la casa è una persona cara: “Oggi è giorno di sirene, di richiami al mondo, da una finestra in fondo al buio ed altre ostilità (…) E divento grotta buia della tua cattività”. La linearità logica dei testi ascoltati finora, fa spazio a un impressionismo di sensazioni in “Narici”: “E non ho mai capito come / tutto il vento che ho raccolto tra la dignità e la bici / non ho mai capito come /se il maestrale si posasse tra i miei occhi e le narici (…) forse porterei cicatrici magiche, la poesia la so guidare senza mani e senza casco”. Ultima canzone di Donno è “Dolcepelle”, dove il quintetto torna con la sua forza sanremese (a me continuano a sembrare più di cinque), per cullare l'anafora di “dolce”: “Dolce sia il tuo andare / dolce il restare. / Dolce la strada, i tuoi piedi, / dolce dove siedi. / Dolci i tuoi sospiri, / dolci i tuoi colori / dolce sia il sonno e le stelle / dolce pelle”.

Un cantautore contromano e delicato, che porta “Lontano” con la mente. (Gilberto Ongaro)