COMANECI  "Anguille"
   (2022 )

A quattro anni di distanza dall’ultimo “Rob A Bank”, è tornata una delle band più originali e ispirate degli ultimi due decenni di musica indipendente italiana: i Comaneci. Col nuovo “Anguille”, i Comaneci ripartono da quanto seminato col predecessore, una tappa interlocutoria per cominciare un progressivo e coraggioso allontanamento da quelle coordinate puramente folk dei primi lavori.

Quel sound, sia chiaro, resiste e rimane un immaginario vivido nella scrittura della band, ma si stratifica e si fa più complesso, e con “Anguille” raggiunge una dimensione nuova, una forma più compiuta rispetto a quanto visto quattro anni fa. C’è, per esempio, una psichedelia di fondo che rimane accennata, ma sempre riconoscibile, sepolta in un’atmosfera che ha dell’onirico.

Se già l’intro sembrava poter suggerire qualche elemento di novità sostanziale, “Anguille” è un susseguirsi di piccole chicche dal respiro internazionale: l’accoppiata “Little Girl” e “The Stray”, con la grazia eterea di ricami simil-post rock, “Loss of Gravity” con il suo sorprendente tappeto aggrinzito di psichedelia ipnotica, “Jaws”, forse più tradizionale nell’universo sonoro dei Comaneci, ma anche lancinante come nei momenti migliori.

La seconda metà del disco non accenna a calare: il minimalismo straniante di “The Tongue” anticipa la sensualità cupa di “Hidden Place” e i grigi lievi di “Hillhouse”, mentre a chiudere sono l’intensità crescente di “Every Midnight” e la dolce e delicata “To the Water”.

Per amare “Anguille”, una delle migliori espressioni dei Comaneci e una delle più belle pubblicazioni italiane dell’anno, può bastare anche soltanto un ascolto. Il consiglio, però, è quello di immergersi più di una volta in un’esperienza che ha bisogno di più per rivelarsi in maniera completa. (Piergiuseppe Lippolis)