"The sounds of VÖ"
   (2023 )

Improvvisazione libera che attinge da culture distanti. Detta così, sembrerebbe il classico canovaccio per un disco free jazz. Ma i VÖ attingono dal folk, e dal reciproco ascolto. Il sestetto è formato da Eva Lindal al violino, Anna Högberg al sax soprano, Johan Berthling al contrabbasso, Leo Svensson Sander al violoncello, Alex Zethson al pianoforte e all'organo a serbatoio, e Giannis Arapis alla chitarra acustica.

Cinque svedesi e un greco, che nel doppio album “The Sounds of VÖ”, uscito per Thanatosis Records, creano un mondo sonoro coeso, che si presenta come un suono solo. Certo, se si sta lì ad analizzare, si distinguono i singoli strumenti, ma chiaramente non è quello l'approccio da adottare, per apprezzare questa musica. Ci vuole un'intenzione “olistica”, perché il tutto è più delle sue parti.

Spesso, si capita di restare armonicamente immobili, non essendoci progressioni programmate, come in “Cyclosis”. E allora, il movimento non è dato dal cambio di “accordi”, ma dal differenziarsi progressivo di alcuni elementi, come le corse agitate al contrabbasso, o gli appoggi di chitarra distanziati nelle battute, mentre l'organo ad esempio a un certo punto si incanta a suonare delle terzine, e il violino vaga nel tessere una melodia che non si risolva mai, che non giunga ad un punto definitivo.

Ecco, è tutto così, una centrifuga sonora, cercate voi la metafora che più gradite, ma è comunque qualcosa di sferico, forse influenzato anche dalla naturale processione del suono nell'organo a serbatoio, che pompa il suono e poi lo smorza. Anche gli altri strumenti tendono ad intensificare i loro suoni, e poi degradarli gradualmente. C'è qualche fuga divertita dal “cerchio”, come in “Landsort 1916”, dove il violino scappa con dei glissati. “Sonorus Icons I” e “Sonorus Icons II” sono due brevi episodi focalizzati sulla chitarra acustica di Arapis come protagonista.

“Collected limbs II” è uno dei momenti più esilaranti per il violoncello e il contrabbasso (o inquietanti, a seconda della tua sensazione). Ma il pianoforte? Eccolo in “Ashes”, e forse nascosto altrove. Che caspita succede in “Undercurrents”, non lo so. O almeno, non so identificare lo strumento che fa partire questa specie di fruscio liquido... forse il sax! Anche in “Dawa” e la successiva “Dawwa”, il sax si ritaglia una parte inconsueta.

Diciamo che c'è spazio per ogni strumento di emergere, in diversi episodi. Ma il sestetto riesce sempre a muoversi come un corpo unico, una sola identità multiforme. (Gilberto Ongaro)