KIMERICA  "Fantasmi"
   (2023 )

Se ignori le tue paure, esse ti rincorrono e crescono, fino a diventare fantasmi che ti rincorrono. Se prendi i fantasmi di petto e li affronti, si rimpiccioliscono, si depotenziano. Forse non se ne vanno del tutto, ma riesci a domarli. Ascoltando le canzoni in quest'album di Kimerica, alias Erica Noventa, percepisco che sia questo il signficato del titolo “Fantasmi”. L'electro-pop che sorregge i testi presenta spesso bassi acidi, e l'atmosfera è cupa, come ne “I tuoi fantasmi”, ma anche negli arpeggi inquieti di “Honey”, uno dei brani cardine. La voce di Kimerica qui non canta, recita sussurrando, evocando quei discorsi che si possono sentire tra uomini etero che parlano di queste donne “che non la danno”, dopo aver offerto una cena.

Non c'è l'atmosfera ironica che si potrebbe ascoltare in una vecchia gag del Drive In. Le parole, pronunciate da Kimerica, si spogliano del facile umorismo, e vengono smascherate nella loro reale violenza: “Cos'è andato storto honey, mi sembrava di aver fatto tutto giusto, cos'è successo, perché non parli? (…) Baby ti ho promesso mari e monti, non credi di avermi fatto aspettare abbastanza? Adesso fai come dico io, infatti ho anche pagato per questo. Ti sei fatta offrire tutto, ed ho avuto appena un grazie, cosa credi che sia fesso? Stavolta non me ne vado a mani vuote”. Eccovi presentata la misoginia. Così come in “Ninna nanna”, il pezzo che chiude l'album, c'è il racconto di una relazione tossica, in cui la donna picchiata però non se ne rende conto, o meglio, non riesce a sottrarsi psicologicamente da lui: “Dormi, dormi, e mentre dormi, io medico i miei tagli, ma adesso dormi, dormi, e mentre dormi i miei sogni si fanno più in là. Non devi avere paura che io vada via, sono legata, così stretta ai tuoi sbagli”. In “Not anymore”, Kimerica elabora le emozioni sopra un cromatismo sinuoso: “Giocavo a far la donna ma ero ancora una bambina, ora sto peggio di prima”, e una nota ribattuta di pianoforte si distingue tra i pattern elettronici.

Eppure, non è tutto così “sociopolitico”. Quest'album non è un manifesto viola, da sbandierare il 25 novembre urlando “Se non ora quando?”. C'è un'esplorazione interiore anche ai desideri della donna, con focus anche su confuse contraddizioni, con intenzioni non così nette. In “Chiudi gli occhi”, una voce maschile ripete il titolo in strofa, mentre Kimerica canta una situazione allarmante, ma anche la voglia di scappare: “Sogno, sogno, ma poi il risveglio è sempre più traumatico (…) Il buio è un alleato come il lupo nelle favole”. Eppure, una volta scappata, c'è un mondo fuori a cui si approccia in modo ambiguo: “Gli auguri a denti stretti degli estranei mi fan cedere”. E in “Discokim”, pezzo orecchiabile, riflette su quanto sia una “fantasia”, quella “di non aver bisogno di te”. C'è la voglia di instaurare una relazione, ma il desiderio è complicato: “Prenditi il mondo, prenditi tutto, tanto sto meglio senza sangue e pelle”. Passionalità estrema o manipolazione?

Come risposta, “Guarda come me ne vado” evoca una propria isola che sta solo aspettando il suo arrivo. Al contrario, “Lasciami entrare” ridà vita al desiderio di unione, ma riuscendo a superare la violenza, che poi è la risposta immatura al non saper gestire le pulsioni. Si può fare tutto, con l'amore: “Lasciami entrare mia dolce preda, sei anche la belva che oggi si sazierà”. Belva e preda allo stesso momento. Il famoso “coraggio di vivere”, è vivere la contraddizione: “Voglio entrarti nel profondo, arrivare alle ossa, vedere cosa resta. Voglio andare fino in fondo, arrenderci e basta, di noi cosa resta”.

Nell'attesa che riusciamo a cambiare definitivamente i tempi, i dubbi e la rassegnazione riempiono “In un'altra vita”: “Forse dovrei buttarmi, le tue braccia come un parapetto, so che se lo faccio, sì so che se lo faccio, crollerà”. Ma avendo buttato fuori tutti questi fantasmi nelle canzoni, ora per Kimerica devono essersi ridotti a piccoli mostricciattoli da schiacciare. E nel frattempo, in attesa che riusciamo a cambiare definitivamente i tempi, “deglutirò questo strano ritmo da club”. (Gilberto Ongaro)