L'UOVO DI COLOMBO  "L'Uovo Di Colombo"
   (1973 )

Gli Uovo Di Colombo sono stati un gruppo romano con alle spalle una sola incisione discografica; dopo soli sei mesi dall’uscita sul mercato dell’album omonimo il gruppo si sciolse seguendo la sorte di molti altri dell’epoca.

La musica che si sviluppa tra i solchi dell’album è ricca di spunti interessanti, anche se l’influenza dei gruppi inglesi di quel periodo si fa sentire perentoriamente. Tuttavia quello che si ascolta nel disco è caratterizzato da un sound corposo e compatto, che non manca certo di interesse e personalità.

La critica ufficiale denunciò la presenza di una presunta “leggerezza”, specialmente in quei brani più immediati, con una melodia orecchiabile, a mio avviso invece è proprio in questo frangente che gli Uovo Di Colombo riescono a dare il meglio, combinando la naturale propensione per la melodia tipicamente italiana con i fervori rock progressivi in auge negli anni ’70.

Va inoltre sfatato il fatto che il gruppo avrebbe “scimmiottato” in toto il trio inglese E.L.&P.: semmai qui ci sono riferimenti agli Atomic Rooster, a certe cose degli Uriah Heep, e l’approccio alle tastiere ricorda più l’eclettismo di Vincent Crane e Ken Hensley che non il virtuosismo di Keith Emerson.

L’album si apre con ''L’Indecisione'', e già si ha la percezione di trovarci di fronte ad un gruppo che sa il fatto suo. Il brano parte forte e deciso, ed effettivamente qua e là si possono ascoltare vaghi echi di E.L.&P. ma, sicuramente, e ben più avvertibile, il brano denuncia la presenza di certe sonorità ascrivibili agli Atomic Rooster.

Segue ''Io'', brano vestito di un originale abito fatto di fraseggi di tastiere che si insinuano veloci e precise all’interno di un ritmo tra lo swing ed il jazzato e la melodia del canto; un contrasto di umori e colori tutto da scoprire. A differenza di molte (troppe) band del periodo, gli Uovo Di Colombo si avvalgono di un ottimo vocalist, Toni Gionta, non certamente un virtuoso dell’ugola ma la sua prova è di tutto rispetto.

''Anja'' ha una bella melodia e il tipico sound dell’epoca costruito su toni solenni, delicati e maestosi nello stesso tempo, dove trova la sua giusta collocazione il moog suonato da Enzo Volpini, il quale si produce in un finale non certo memorabile ma coinvolgente e di tutto rispetto. L’intro di ''Vox Dei'' ci porta alla mente i migliori Uriah Heep, ma subito veniamo trasportati in una dimensione personale, in quel fare rock tipico del gruppo romano.

Con la successiva ''Consiglio'' i musicisti danno prova della loro perizia agli strumenti prodigandosi in una prova di ottimo livello. Qui si può ascoltare un bel solo di chitarra con una distorsione curiosa e un bell’intreccio tra i vari strumenti, seppur le tastiere la facciano comunque da padrone.

Anche quando spuntano le chitarre il sound resta comunque compatto e pieno di buon feeling, la sezione ritmica è implacabile e precisa tanto che lo strumentale ''Turba'' si proietta verso una dimensione energica e coinvolgente che altrimenti resterebbe difficile riscontrare in un certo tipo di musica.

Il seguente brano, ''Visione Della Morte'', si apre con un intro di chitarra acustica che fa da contrappunto al canto; questa sorta di “quiete” ha però breve durata, il ritmo sincopato incalza e le tastiere si fanno di nuovo sentire con perentorietà. La parte centrale della canzone contiene un solo di batteria tutt’altro che disprezzabile; da lì riparte il brano con la solennità delle tastiere… le solite cose, verrebbe da dire, ma ciò soltanto se ci limitiamo ad un ascolto superficiale, in realtà questo album possiede più di un motivo di interesse.

Il disco si chiude con un breve brano strumentale dal titolo ''Scherzo'', il quale mette il sigillo ad un lavoro ben fatto e ricco di spunti molto interessanti, una incisione tutta da riscoprire e certamente da valorizzare. (Moreno Lenzi)