SWEENEY  "Corporeal"
   (2023 )

Oltre la musica, oltre il concetto stesso di disco, oltre la forma: per quasi un’ora Jason Sweeney – compositore australiano, attivo dal 1996 sia come solista sia in svariati progetti, tra cui Panoptique Electrical - veste i panni di un traghettatore d’anime, o di un medium, se preferite, un tramite fra il regno delle ombre e la land of confusion che abitiamo.

In attesa di risposte che mai arriveranno a domande sempre scomode, “Corporeal”, su etichetta Sound In Silence, disegna un quadro fosco, plumbeo, oscuro, haunting in senso stretto: edificato su suoni, liriche e textures ispirati e generati da strumenti utilizzati per investigazioni sul paranormale, prende spunto dal buio world apart della porta accanto per una lunga indagine sul sé, che diviene meditazione sul prima e sul dopo, passaggio segreto tra la mente e le sue possibilità, liason tra mondi lontanissimi o vicinissimi.

Pièce di arte varia, alterna dilatazioni trasognate a brani estatici, inframezzati da intensi recitativi che fungono da collante narrativo; attraversato da tremanti pulsioni (“Dumb love”), field recordings, interferenze sparse (“Paranormal at birth”), beat intermittenti (“The basement”, “It’s behind you”, “The dead dig deeper”), melodie inconcluse, l’album perfeziona la sua trama senza mai scoprirsi del tutto, celato dietro il paravento di un’espressività stratificata, multiforme, cangiante. Inafferrabile e criptico, vaga sibillino sulle ali di armonie tenui e diafane, spesso punteggiate da una sottile inquietudine, col crooning profondo di Jason ad evocare innumerevoli spettri e risvegliare paure ancestrali (“The dead speak back”).

Atmosfere nebulose restano sospese a mezzaria, appese al filo invisibile di un’elettronica elegante, fluttuando sullo sfondo di scenari opachi, arricchiti da sentimenti contrastanti e da un generale clima di ineluttabile incombenza, amplificato da memorie di David Sylvian, Matt Howden, David Tibet. Improprio parlare di canzoni: si tratta piuttosto di un magma di suoni – raffinati, eleganti, fluidi – che fungono da sostrato per testi densi ed evocativi. Il milieu è al contempo straniante e falsamente rilassante, ma non sereno: trasmette turbamento (“Writing a song”), induce ad una sfuggente afflizione (“The act of disappearing”), suggerisce riflessioni ed agita i pensieri, mentre conduce tra i meandri della psiche a bordo di una scialuppa in precario equilibrio.

Imagine me sleeping here in this bedroom/it’s haunted here with noises of dumb love/the shape of his body is merely a curve embedded on sheets/his body gets buried in memory passing through walls/do you hear him now/I think he’s following.

La meta del viaggio rimane misteriosa, il panorama attorno conserva intatta una grigia desolazione; meste e ben presenti, entità incorporee ci stanno a fianco, mute. (Manuel Maverna)