GIOVANNANGELO DE GENNARO & ENSEMBLE CALIXTINUS  "Sacred mount"
   (2023 )

Vent'anni di viaggio, cioè di vita, considerata da un punto di vista spirituale. E riportata in musica. Questo è ciò che ha compiuto Giovannangelo De Gennaro, assieme all'Ensemble Calixtinus, nell'album “Sacred Mount”.

Le musiche incontrano diversi stili e latitudini, ma sono accomunate da un'intenzione profondamente mistica. Oriente ed Occidente si incontrano. Il disco è aperto e chiuso da due brani di padre Komitas, religioso e compositore della seconda metà dell'Ottocento, scomparso nel 1935, considerato il padre della musica armena. “Hov Arek” è cantato, mentre “Krunk” è un brano per violoncello.

Abbiamo un brano in latino, “Gaudens in domino”, cantato in coro ed accompagnato da flauto traverso e liuto. Ma qual è la prima musica documentata, a cui siamo risaliti? Sembrerebbe sia l'”Epitaffio di Sicilio”, una partitura scolpita su marmo, che qui viene suonata e cantata, addolcita dal pianoforte.

Uno dei punti d'incontro fra Est ed Ovest è senz'altro l'Impero Bizantino, dove si sviluppò il cristianesimo ortodosso. Nell'arte paleocristiana, figura centrale è il Cristo Pantocratore. Che non è una bestemmia, ma l'italianizzazione del termine greco, che sta per “onnipotente”. “Pantokrator” è una traccia strana: sono 3 minuti e mezzo di percussioni ribattute, senza una forma ritmica prestabilita, e senza nessun riferimento melodico né armonico. Sicuramente ha una funzione rituale, e forse ripete dei codici, delle formule; ma il rito non è decifrabile a chi non vi appartiene.

Lasciamo il mistero percussivo, per addentrarci nei quasi 13 minuti di “Ex Eius Tumba Marmorea”, dove possiamo apprezzare un canto non in una scala, ma in un modo, proprio come quelli gregoriani. Si recupera anche la tradizione del canto melismatico. Non fatevi spaventare dal parolone. Fare i melismi si potrebbe tradurre con “vocalizzi”, ma sarebbe impreciso. Il canto melismatico si contrappone al canto sillabico, che prevede una nota per ogni singola. Al contrario, i melismi sono delle fioriture di più note, per ogni sillaba. Questo, nella tradizione occidentale, dà sempre solennità alle parole cantate. Fuori dalla spiegazione tecnica: questi 13 minuti fanno vibrare le corde dell'anima. E se pensi di non avere l'anima, la musica te la crea.

Un pizzicato d'archi accompagna il “Canto di Sayyid”, riscrittura in italiano di De Gennaro su musiche di Gurdjeff e De Hartmann. Ai fan di Franco Battiato saranno drizzate le antenne: Gurdjeff??? Ed infatti, poco più in là, compare una cover di una delle canzoni più importanti, per la ricerca spirituale del Maestro catanese: “L'ombra della luce”. Inutile fare paragoni, perché al di là dell'interpretazione personale, questa canzone è una preghiera, e ognuno la può cantare, a fine devozionale.

Tra la strumentazione dichiarata nel comunicato stampa, leggo che c'è pure il duduk. Flauto tradizionale armeno, uno strumento antichissimo. E lo possiamo ascoltare nei 2 minuti di “Meteora”, che funge da introduzione a “Jocundetur et letetur”, un'altra melodia per coro, cantata all'unisono. È molto, molto suggestiva, poiché cantata in un modo tra i più antichi, quello dorico.

Altri strumenti che compaiono: il bansuri, il rabab afghano, l'oud. C'è un incontro quindi di strumenti di diversa provenienza geografica e culturale. Ci sono accenni di microtono, nella melodia di “Hüseynî Oyun Havasi – Çeçen kızı”, che dal sottotitolo intuisco sia cecena. “Vāyu” e soprattutto “Hindu melody” spingono l'acceleratore sul fattore emozionale.

Mi auguro che la musica della “montagna sacra” possa aiutare chi la ascolta, ad allinearsi con l'universo. (Gilberto Ongaro)