CANTODISCANTO  "Pandemusica"
   (2024 )

Il nuovo album dei Cantodiscanto, uscito per Visage Music, ci porta in una musica etnica-acustica senza confini, lungo giro di parole per evitare l'ormai controversa espressione “world music”. I brani sono scritti ispirandosi al fado portoghese, alla musica brasiliana, a quella mediterranea e anche araba. L'idea base è quella di mescolare ingredienti diversi per ottenere una specialità, paragonando musica e cucina. Infatti, l'album si chiama “Pandemusica”, e così si chiama la canzone d'apertura, che è come l'invito di un fornaio alla propria panetteria: “Pandemusica caldo caldo (…) vengan presto, stiamo sfornando cibo bono per lo core (…) donne e omini presto presto, curre allo molino”.

Tra gli strumenti a corda, accanto alla chitarra acustica troviamo anche il santoor. Oltre ai cinque componenti fissi del gruppo, ci sono molti ospiti, e così possiamo ascoltare anche la fisarmonica e l'organetto, il violoncello, un flicorno, fiati come il ney e balaban e così via. Una ricchezza timbrica e di musicisti provenienti da tutto il mondo, che hanno contribuito a distanza.

Anche questo, come moltissimi altri lavori, sono nati durante la pandemia. Probabilmente non finiremo mai di scoprire quanta arte abbiano sprigionato quei due anni assurdi. “Dimentica” è stato scelto come pezzo di punta, dove la voce maschile (Guido Sodo, a cui si affianca Frida Forlani) parla in un modo che sta a metà tra il rap e il recitato: “In questo modello di mondo non ci capisco più niente (…) quali sono i valori? (…) Dimentica la razionalità, dimentica il buon senso, la nazionalità, la prudenza, le distanze (…) e soprattutto... non dimenticare!”. Questa canzone viene proposta in tre versioni, quella lunga, una radio edit e l'”Ivan's cut”. Nella versione lunga, la fisarmonica viene lasciata da sola in un'improvvisazione, ma durante tutto il tempo, non perde mai il senso del ritmo, neanche per scherzo.

Oltre all'italiano e al napoletano, si canta anche in portoghese, come in “Transeuntes eternos”; a volte le lingue si mescolano, come in “Saudade do futuro”, mentre “Dahiya” è in arabo, e le voci qui si caricano d'enfasi, specie verso la fine. Ci sono momenti strumentali, come “Fili tesi” e l'inizio di “Beri Beri”, dove la chitarra incalza un incedere deciso, su cui poi la voce canta drammatica.

“Una farfalla tra le dita”, affronta tra le righe la violenza nelle relazioni, considerando che l'amore è come qualcosa di etereo, che si prova e si vive, ma non si può ingabbiare in qualcosa di controllabile, altrimenti diventa altro: “Ma l'amore, sai, non si tiene legato a un filo, come fanno i bambini con l'aquilone (...) non si inchioda con uno spillo come fosse una farfalla da collezione. Perché se stringi una farfalla tra le dita, le togli la vita”.

Curiosa “Aria dei fiori”, dove... tutto ad un tratto, il coro! Il Coro Stelutis intona un canto diviso in due squadre, maschi e femmine, che si alternano rispondendosi. Se non si presta attenzione al testo, potrebbe essere scambiata per una canzone religiosa, di giubilo. Ma se si leggono le parole, si scopre altro: “Congesto, agitato, rumoroso, disordinato, morboso, eccitato, con sentimento esagerato di sé. Grande la forza contro i mezzi coercitivi! Smarrito d'intelligenza, con forma di mania. Scontento, quasi ribellione, mostrava di comprendere le necessità (…) Cervelloticamente cronici, spiccano i segni di allucinazione. Sintomi di demenza, migliorò di umore. Con idee deliranti, anche fatue di quando in quando. Disordine mentale, diseguaglianza delle pupille. Grande la forza contro i mezzi coercitivi!”.

Questo pezzo era stato scritto in precedenza per il teatro, e presenta frammenti di diagnosi presi da cartelle cliniche di pazienti psichiatrici. È stato inserito in questo contesto folk-etnico, per rimarcare il ricordo di quando siamo stati tutti isolati. Come l'avranno vissuto, quelli che avevano questi problemi? Ottima musica etnica-acustica, che come sempre in questo tipo di progetti, avvicina quante più diverse culture, per esprimere la “musica dell'umanità”. (Gilberto Ongaro)