FRANCESCA INCUDINE  "Radica"
   (2025 )

Da Enna, la cantautrice Francesca Incudine ci racconta storie di Sicilia, ma anche di Sardegna e del Pakistan, unite da un filo rosso che è quello delle figure femminili resistenti. Uscito per Moonlight Records, “Radica” è un album cantato soprattutto in siculo, e con sonorità acustiche che intrecciano la canzone d'autore con il folk.

“Unni vai” apre il disco con il classico tema dell'emigrazione, dove ogni luogo raggiunto diventa casa, anche se il luogo d'origine resta quello di vocazione: “Canto ancora alla me terra, e ballu ancora tarantella”.

Spesso chi non riesce ad andarsene da una terra tanto bella quanto senza prospettive, cade in depressione. E “Ci fu un tempu” racconta il punto di vista di una madre, che prega per sua figlia che non riesce a riprendersi da questa condizione (“La nebbia m'imbrugghiava”), cantata sopra una malinconica fisarmonica.

Altro pezzo geolocalizzato è “Ciuri i limuni”, con gli agrumi che sprigionano il loro aroma: “Profuma ora l'aria, profuma la strata, ci passo ogni ghiornu, me ne vai e poi tornu”. “Malalingua” invece parla di una situazione abbastanza internazionale, cioè quella delle domande capziose rivolte agli artisti di ogni latitudine: “Dicevano è pazza, dicevano forse qualche giorno s'ammazza (…) La luce vi disturba, la coscienza vi domanda? Mettiamola a tacere con preghiere da fedele”.

Sono i classici pettegolezzi, il curtigghio. E le curtigghiare (da “cortile”) le ascoltiamo chiacchierare più avanti, dentro la “Ballata ppi la bedda”, che è un immaginario sequel del classico pezzo “Si maritau Rosa”, dove Incudine si immagina cosa succede dopo il “vissero felici e contenti”: “Era contenta Rosa e ricamava li fazzoletti a ghiorne scura, di restare sula mai si lamentava ma s'astutava la candila”. In conclusione al secondo intervento delle curtigghiare, viene pure citata “Quizas quizas quizas”.

Un tappeto di darbouka di ambienta nel racconto di “Zinda”, cantata mezza in italiano e mezza in urdu, per ricordare Sabeeh Mahmud, attivista pakistana uccisa nel 2015: “La parola ci fa uomini, il silenzio ci fa deboli”. Il brano ospita la voce di Simal Nafees e il sitar del maestro Nafees Ahmad.

Tre sono le canzoni che ci portano a scuola. “Sa mastra”, introdotta dal tema stonato di “Faccetta nera”, ci porta nel 1937 da Mariangela Maccioni, maestra sarda che si rifiutò di indorare il fascismo a lezione: “Fecero gli auguri sulla porta di casa, i gendarmi dell'Ovra (…) 39 giorni di galera sono niente, non temo chi può uccidere il mio corpo (…) nello spirito è l'offesa”. A dispetto di cosa si possa dedurre dalle parole, la musica non è triste: è un divertente 2/4 in levare, che si alterna a un valzer di fisarmonica.

La seconda canzone tra i banchi è una cover di Luigi Tenco, “Cara maestra”, che ci ricorda le sue importanti strofe: “Cara maestra, un giorno m'insegnavi che a questo mondo noi siamo tutti uguali. Ma quando entrava in classe il direttore tu ci facevi alzare tutti in piedi, e quando entrava in classe il bidello ci permettevi di restar seduti”.

La terza canzone scolastica è la toccante “Du paruleddi”, su un'insegnante per adulti nel dopoguerra, raccontata dal punto di vista di una madre che vuole imparare a scrivere per comunicare col figlio emigrato: “Quando ci scrivo du paruleddi a me figghiu? Luntanu lu tengu, s'innìu pi travagghiu”.

Un field recordings di vociare di bambini accompagna “Unzi dunzi trinzi”, breve traccia fatta di percussioni e filastrocche popolari (tra cui riconosco “Tirichitolla”, cantata vent'anni fa anche dai Tinturia). Dopo questi viaggi in Sardegna e Pakistan, la Sicilia ritorna forte cantando la poesia “Nun mi lassari sulu”, e chiudendo l'album interpretando un tradizionale religioso ennese: “Coroncina in onore di Maria SS. della Visitazione di Enna”, cantato sul pianoforte di Mario Incudine.

L'onda lunga del lockdown non è finita, dobbiamo aggiungere un altro brano scritto in quel periodo. “Non è finita” osserva la natura mentre stavamo bloccati in casa: “L'arburu siccu ora prega pi l'acqua”. Infine “Tri scaluna” parte da una suggestione letteraria, quella della bellissima ragazza vista da Novecento, il pianista sull'oceano di Baricco.

“Radica” è un disco che scalda il cuore, con i suoi racconti pieni di vita e di speranza, che riescono a non cadere nella trappola della retorica, ancorandosi soprattutto alla narrazione di storie, lasciando che siano gli ascoltatori a trarre le conclusioni. (Gilberto Ongaro)