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VINCENZO CERVELLI "Hello, here I am"
(2022 )
Ciao, eccomi qua. Questo è il semplice titolo dell'album di Vincenzo Cervelli “Hello, here I am”, che presenta un lotto di canzoni che si muovono nel solco del rock americano tradizionale, quello che ci fa sentire al riparo dalla contemporaneità, nel calore della seconda metà del ventesimo secolo.
Gli elementi centrali sono la sua voce, rauca e altamente espressiva, e i lick di chitarra, diretti e memorizzabili. L'artista di Petacciato (Campobasso) scrive canzoni semplici ed amichevoli, cantando come un fratello maggiore che ti porta per mano.
“The Rock” apre il disco reggendosi su due accordi, il fondamentale e la sua quarta maggiore, mentre “The time point” sceglie una progressione di accordi che era tanto ricorrente nel soul, nel rock, nel blues anche in certo pop (ora meno): fondamentale minore e quarta maggiore, spesso con settima. Esempi famosi di canzoni con questa sequenza: “The great gig in the sky” dei Pink Floyd, i ritornelli di “Bad” e “Earth Song” di Michael Jackson, il refrain di “Stairway to Heaven” dei Led Zeppelin”... e tantissime altre.
Di “Fallin'”, invece, la cosa che si fa notare è il ritmo dritto e l'incedere drammatico. L'eco di Bruce Springsteen è ovunque, ma Cervelli cerca sempre una chiave personale, un rimescolamento proprio delle carte, degli elementi noti. “Hearts (Son for a child)” in strofa cerca un po' il groove dei Rolling Stones, ma nel ritornello ha un'apertura melodica, corroborata dagli archi di tastiera, e dagli slide country della chitarra.
Il suono crunch della chitarra colora “One of these days”, che non è la cover dei Pink Floyd bensì un pezzo folk rock, che sa sempre di piano Marshall, cioè di quello storico incontro economico e culturale tra stelle e strisce e tricolore, di cui ancora conserviamo nostalgici resti.
Questo è il suono dell'America sorridente che ricordiamo e alla quale ci aggrappiamo, quella delle station wagon parcheggiate davanti a villette con l'atrio all'ingresso, o dei deserti sconfinati da percorrere nelle superstrade, che richiamano sogni di libertà. “The life” evoca una certa ambientazione western, cavalcata poi da “Call me”. “The last chance” invita a non sprecare (“Don't waste”) le proprie occasioni, con un incedere enfatico.
In “Remembering”, la voce si avvicina al ruggito, mentre “Under the dome” chiude l'album in maniera atmosferica, con un dolce piano elettrico che si riverbera, un basso elettrico che si fa notare per i suoi interventi melodici, e degli slide “gilmouriani” di chitarra. Le progressioni armoniche qui si fanno più ricercate, tra settime maggiori e salti non scontati.
Il forte crescendo in 6/8 accompagna parole che non si capisce a quale entità siano rivolte. Traducendo dall'inglese: “Sotto questa cupola / qualche Dio reclama le tue colpe / qualche specie di padrone accarezza i tuoi rimorsi / come una preghiera che copre le tue vergogne. / Salva questo cuore / e accompagnami nel peccato / salva questa parola / e allontana questo sorriso”.
Ascoltando questo pezzo finale possiamo osservare la copertina dell'album, dove Vincenzo Cervelli raccoglie un cuore da terra, ambientato in un'architettura brutalista (fatta tutta di cemento armato). L'artista porta gli ascoltatori più attempati (e i più giovani che sinceramente preferiscono il daddy rock) in una zona di sicurezza, dove ritrovare della musica scritta col cuore in mano. (Gilberto Ongaro)