WHITE BIRCHES  "A new reign"
   (2025 )

Mettici ancora echi del periodo pandemico, mettici la voglia di sfidare sé stessi, mettici infine il desiderio di rinnovare e stratificare maggiormente il sound oscuro che li caratterizza.

Ecco quindi che, dopo circa otto anni (dai tempi di “When the street calls”), il nuovo e terzo album del dark-wave duo dei White Birches (Jenny Gabrielsson Mare e Fredrik Jonasson) è servito per essere consumato con gusto.

Già, perché per gli amanti di Sisters of Mercy, Portishead e Kate Bush, i tre quarti d’ora di “A new reign” saranno una leccornia d’assaporare con ricco coinvolgimento.

All’entrèe, staziona la portata ferale ed oscura di “Breathing”, ma già scalpita la fremente elettronica della titletrack che delinea impatti ecclesiastici.

Tunnel disorientanti sono disseminati un po' ovunque: basta avventurarsi in “Salt the Earth”, “Blood” o “Femton” e sarà dura intravedere l’ago di luce in lontananza.

Tanto vale vivere persino gli incubi onirici di “Primal”, “Part of this” o “Writing’s on the wall”, così, almeno, svilupperemo coraggio da vendere utile alla bisogna. E non è cosa da poco.

Infine, quel tasto di piano dolente che persevera nella dark-tranquillity di “Solace” ci dona, al contempo, una meravigliosa sensazione di timore/relax che trovi in sottofondo nelle stanze di cromoterapia tipiche delle SPA.

Con un sound avvolgente, penetrante, ritemprante, vellutato come “bianche betulle” (nome scelto apposta?), il duo svedese alza decisamente l’asticella verso possibili vertici approvativi: ma far passare altri otto lunghi anni, sarebbe un’imprudenza poiché, in questa infinita centrifuga di proposte musicali, la memoria del pubblico va rinfrescata quanto prima possibile.

Detto questo, lunga vita ai White Birches! (Max Casali)