ROUGH UNIT  "Desert crash"
   (2025 )

Artista poliedrico, da decenni impegnato in numerosi progetti di varia ascendenza, RG Rough è un navigato musicista anglo-francese, classe 1971; sospeso tra elettronica, sperimentazione ed electropunk, ha attraversato in punta di piedi ben più di una scena, dedicandosi oggi, con le cinque tracce di “Desert Crash”, su etichetta Bambalam Records, alla riscoperta di un sound che affonda le proprie radici nel post-punk anni Ottanta/Novanta.

Introdotti dal pregevole artwork di copertina di Priscille Claude, scorrono fluidi ed incalzanti - ma anche insinuanti, turbati, ipnotici - ventisette minuti che vedono il trionfo delle dinamiche e di atmosfere fosche e incerte, vero atout di una musica battente, nervosa, ondivaga.

Apre le danze una “Snakedrive” memore dei Jesus & Mary Chain di “Honey’s Dead”, sovraccarica di letali iniezioni di feedback ed avvolta da un’aura vagamente malevola; cambia registro “Red light down”, già pubblicata come singolo e guidata da un profondo basso dub, e muta ancora pelle la successiva “Night horns”, spettrale e sinistra, incombente nebbia elettrica in graduale crescendo, al crocevia tra Fields Of The Nephilim e Nero Kane.

Le ultime due tracce sono le più intense e vibranti: “Dead ringers” esordisce col violino avant di Léa Claessens (già a fianco di RG nell’album di improvvisazioni pubblicato nel 2020), che segna il ritmo e detta la cadenza, disegnando una partitura trasognata, trattenuta e mai deflagrante, sulla quale il semi-recitativo di RG insiste per oltre sei minuti; “Ten miles under the radar” si snoda martellante e ossessiva, con basso pulsante mixato in primo piano, clangori industrial e rumore bianco in parossistica escalation, scossa dall’ingresso della voce maligna di RG, che su un registro baritonale à la Andrew Eldritch spinge la ripetizione di un'unica frase verso la nebulosa finale, epilogo soffocante di un lavoro denso e stratificato, complesso e sfaccettato. (Manuel Maverna)